Regionali. Interviste ai candidati. Ugolini: “La persona al centro”

La prima candidata civica che sfida la maggioranza al governo dell’Emilia Romagna da 50 anni, espone i suoi progetti per il futuro della Regione

Nella foto, Elena Ugolini
Nella foto, Elena Ugolini

In questa intervista ai settimanali cattolici dell’Emilia-Romagna, Elena Ugolini, prima candidata civica che sfida la maggioranza al governo dell’Emilia Romagna da 50 anni, espone i suoi progetti per il futuro della Regione

“Al cuore della democrazia c’è la persona”. Elena Ugolini non nasconde la sua fonte di ispirazione, le parole risuonate alla Settimana Sociale dei cattolici di Trieste lo scorso luglio sono diventate lo slogan con cui si sta presentando ai cittadini emiliano-romagnoli nella sfida per la presidenza della Regione con Michele De Pascale: “la persona al centro”. Abbiamo incontrato Elena Ugolini a Bologna, in un bar dove inizia la salita verso la basilica di san Luca. In tanti la riconoscono e la salutano. È la prima volta di una candidata “civica” di fronte al blocco politico della sinistra. Nella Ugolini la determinazione non manca anche perché, ribadisce, “l’ho fatto per i miei figli e per le nuove generazioni. Ragioniamo insieme, dico, con più aderenza ai bisogni”. La sua proposta ha trovato nei partiti di centrodestra l’incoraggiamento ad andare avanti.

Bello slogan ‘la persona al centro’ ma come si declina nella sua visione amministrativa?

Tutte le politiche della Regione devono essere conseguenti a questo principio: mettere al centro le persone e utilizzare il metodo sussidiario che valorizzi quello che le persone sono, fanno, intraprendono, cercando di aiutarle a educare, curare, custodire, lavorare, fare volontariato, stabilire relazioni. Invece abbiamo una continuità di governo, un intreccio tra economia e politica. È tutto già deciso e nei tavoli di co-progettazione si ascoltano pareri su cose già decise. So di andare contro una montagna, ma ci provo.

La sanità, oltre a essere la voce più rilevante del bilancio regionale, è motivo di forte preoccupazione per la tenuta del sistema sanitario nazionale.

Il nostro Servizio sanitario regionale (Ssr) mette veramente al centro la persona del malato e la persona che lo cura? Abbiamo un Ssr che valorizza i professionisti che se ne devono occupare? La mia risposta è no. È un Servizio disegnato su una popolazione che non c’è più. Abbiamo un numero altissimo di anziani, di persone sole, di malati cronici, persone con problemi psichiatrici e psicologici. In una situazione così dobbiamo potenziare tutta la medicina territoriale. Occorre realizzare, ad esempio, una vera presa in carico di ogni paziente cronico per far sì che abbia sul territorio dei riferimenti certi senza dover vagare da uno sportello all’altro.

L’introduzione dei Cau (Centri assistenza e urgenza) non è una risposta che va in questa direzione?

No. I Cau sono stati una toppa nuova su un vestito vecchio. Nascono perché non si è attivata la medicina territoriale per rispondere a problemi di salute minori. I Cau hanno richiesto un investimento economico, hanno sottratto medici che sarebbero stati più utili nei Pronto Soccorso e si potevano avere più risorse da utilizzare per rafforzare l’assistenza domiciliare, l’aiuto e l’appropriatezza della cura attraverso la farmacia dei servizi, una nuova organizzazione dei medici di famiglia. La nostra idea è molto semplice: cominciamo ad ascoltare i professionisti che si sentono esclusi.

Eppure la sanità in Emilia-Romagna è considerata tra le migliori a livello nazionale, insieme a Veneto, Toscana, Lombardia…

Si tratta di parametri di tipo quantitativo non qualitativo che nascondo due evidenze. La prima è che c’è molta differenza tra i territori, se vivi a Bologna o a Ravenna, o se vivi a Casteldeci, in montagna o in un’altra zona della stessa regione. Poi ci sono dei tempi di attesa variabili tra le Asl per visite specialistiche, esami, interventi chirurgici.

Sono in fase di progettazione, più o meno avanzata, tre nuovi ospedali a Piacenza, Cesena e Carpi. Lei conferma l’impegno della Regione?

Non possiamo continuare ad avere degli ospedali come erano 30, 40 o 100 anni fa. Quindi dobbiamo avere anche in questo ambito una politica che guarda al futuro.

Sul fine vita, l’Emilia-Romagna è intervenuta per via amministrativa. È questa la via da percorrere?

Occorre investire su cure palliative e assistenza domiciliare. Spesso le persone sono disperate perché non hanno nessuno. C’è un confronto impietoso sulla copertura con l’assistenza domiciliare degli anziani non autosufficienti: il 31 per cento per l’Emilia-Romagna contro il 48 del Veneto. Bisogna aiutare chi è solo in casa e dobbiamo garantire cure palliative a tutti, evitando corsie preferenziali per chi arriva alla disperazione.

Ma le risorse ci sono?

Le risorse vanno trovate. Usare bene i soldi della sanità, essere più efficienti ed efficaci nei risultati, perché in questi anni l’Emilia-Romagna ha sottratto soldi al sociale e alla scuola per finanziare la sanità. È in arrivo il 18 ottobre il giudizio di conformità della Corte dei Conti sul bilancio del 2023 e probabilmente ci saranno delle sorprese. Già il 2022 si era chiuso con un passivo di 82 milioni. Stiamo spendendo molto di più di quello che abbiamo. Il Veneto nel 2022 ha avuto un attivo di 140 milioni, risorse che poi sono state investite negli ospedali.

L’aborto continua a far discutere, tra le proteste dei pro-vita davanti agli ospedali e il mancato coinvolgimento del personale dei Centri di aiuto alla vita nei consultori. Cosa ne pensa?

Direi ai cattolici di votare de Pascale così continueranno a esserci delle politiche che non aiutano le persone che alla fine decidono di interrompere la gravidanza perché non hanno trovato nessuno che le ha aiutate. C’è una legge nazionale, la 194, che stabilisce la possibilità a chi chiede l’interruzione di gravidanza di poter avere delle strade alternative magari anche con degli aiuti e di norma questo non viene fatto. A Forlì c’è un progetto bellissimo con un protocollo di collaborazione. In pochi anni sono stati salvati 200 bambini.

Da qui all’annosa questione delle politiche familiari e di sostegno alla natalità il passo è breve. Come incidere a livello regionale?

Come Regione dovremmo fare delle politiche familiari vere, aiutare chi ha dei figli, chi ha anziani in casa. L’esempio potrebbe venire da quanto è stato fatto in Veneto. Qui abbiamo delle politiche assistenziali, verso le famiglie a basso reddito, ma ci sono famiglie di reddito medio che entrano in povertà e non arrivano a fine mese quando arriva il primo o il secondo figlio. Servono politiche familiari diffuse investendo in modo sostenuto su chi deve tirar su figli, accudire anziani o crescere un figlio disabile.

Altro fattore che limita i progetti dei giovani che vogliono mettere su famiglia è la casa.

È nel nostro programma una politica della casa che aiuti in modo sistematico chi vuole fare famiglia o vuole venire a lavorare in Emilia Romagna. Stiamo facendo un piano, in accordo con il Governo, perché dagli anni ’60 non si fa una politica strutturata sia per l’acquisto che per l’affitto. Interessante la proposta del Forum delle famiglie: per riuscire a contrastare l’inverno demografico occorre aiutare chi vuole avere figli a crescerli, sul modello francese.

Nonostante l’Emilia-Romagna sia ritenuta attrattiva, riscontriamo anche qui la “fuga dei cervelli”. Quali soluzioni per il rientro?

È giusto che i giovani abbiano la possibilità di studiare, di lavorare, di fare esperienza anche all’estero. Ma a un certo punto dobbiamo offrire le stesse opportunità che trova fuori. Un giovane deve poter scegliere.

Siamo ancora in una situazione di emergenza per alcuni territori a causa dell’alluvione.

È stata abbandonata la natura a sé stessa. L’ideologia ambientalista ha fatto il suo perché ha convinto che era meglio lasciar scorrere i fiumi senza manutenzioni. Siamo andati sott’acqua tre volte, l’ultima dopo una pioggia di 12 ore, rivelando fiumi di portata ridotta, argini deboli, tronchi che ostruivano i ponti. La manutenzione ordinaria, fatta bene: questo è il tema rilevante e poi le opere strutturali canali, invasi, dighe che dovevano essere fatte già dal 2009 in base al progetto per la rete idrica.

Tutto il territorio della regione ha mostrato le sue fragilità.

In Appennino dobbiamo evitare di commettere l’errore di trattare tutti allo stesso modo. Bisogna ascoltare i territori e le loro esigenze. Evitare lo spopolamento, mantenere i servizi essenziali come le farmacie rurali. È di questi giorni una notizia importante: il Governo ha istituito le Zone logistiche semplificate per l’Emilia Romagna con le quali si avrà accesso a procedure più semplici.

Cosa serve a questa regione?

Serve puntare sullo sviluppo. Bisogna pensare a quanto potrà accadere da qui a 10 anni. Ci vogliono tanta buona volontà, competenza, dedizione e visione.