Cesena
Lettere da oltre frontiera
Che il tempo sia relativo, è ben noto a tutti: cinque minuti sulla poltrona del dentista non saranno mai uguali a cinque minuti passati in compagnia della persona amata. Questo è tanto più vero in occasione di brevi spettacoli che, per la loro particolare forma, per il loro particolare argomento, riescono in poco tempo ad essere più “pesanti” di spettacoli ben più lunghi.
Se abbiamo scritto pesanti fra virgolette è per evitare di ingenerare errori: non si tratta di un giudizio negativo, anzi, è vero il contrario. Avremmo potuto, con un gioco di parole, dire più “pensanti”, ma anche in questo caso il lettore potrebbe pensare che altri spettacoli non richiedano un ragionamento critico da parte dello spettatore: di sicuro “Lettere a Nour” è un dramma vero, intenso, struggente, che a dispetto dei suoi 90 minuti di durata, lascia nel cuore dello spettatore (che sia disposto a lasciarsi toccare) qualche sentimento davvero profondo.
Il testo, come recita già il titolo, non è propriamente un vero evento teatrale. Non succede nulla. Assistiamo allo scambio epistolare fra un padre (Franco Branciaroli) e una figlia, Nour, appunto (Marina Occhionero). Il padre è un filosofo, uno studioso, che vive in Francia ed è un musulmano praticante e amante della libertà; la figlia ha preso la via dell’Iraq per seguire il nascente Stato islamico, sposarsi con un combattente e attraverso le lettere difende la sua scelta col padre. Non c’è azione, il dramma potrebbe benissimo essere trasmesso per radio e perderebbe ben poco della sua qualità. I 90 minuti, però, scorrono in modo rapidissimo, per merito della meravigliosa interpretazione dei due attori.
Se il regista Giorgio Sangati tiene Franco Branciaroli seduto in poltrona per tutto lo spettacolo, la giovane Marina Occhionero si muove senza sosta sul palcoscenico, apparendo e sparendo dalle quinte, che hanno l’aspetto di mura slavate di una prigione. All’inizio vestita con un piccolo velo, a metà appare coperta completamente in un ampio velo nero, e questa è l’unica trasformazione che vediamo in scena; per il resto, sono le voci a trasmettere agli spettatori due mondi opposti. Da una parte, il padre che cerca di richiamare la figlia amata, che cerca di farla rinsavire, di mostrare gli orrori del sedicente Stato islamico; dall’altra parte, la figlia che cerca di mostrare al padre come quello Stato sia la risposta che, a suo dire, tutti gli islamici aspettavano, per liberarsi finalmente dalla tirannia dell’Occidente e dei suoi crociati. Alla fine, la ragazza, che nel frattempo è diventata madre di una bimba, chiamata emblematicamente Jihad, scopre la vera natura dello Stato totalitario, abbandona la religione, e giunge al massimo sacrificio per salvare la vita della sua figlia, che giungerà al nonno, affinché la istruisca, la renda una donna pienamente realizzata.
Il dramma di Rachid Benzine (in Italia è una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati, in collaborazione con Ravenna Festival) tocca un nervo scoperto della cultura moderna, anzi, forse il vero nodo di questo XXI secolo che ormai non è più un fanciullo ma s’avvia a terminare il suo secondo decennio di vita: il rapporto fra mondo islamico e mondo occidentale, la possibilità di una pacifica convivenza nel rispetto reciproco.
Benzine, filosofo francese di origine marocchina, vive in sé questa dicotomia, e l’ha calata nel dramma attraverso le due voci, che raramente davvero dialogano, in quanto ognuno dei due personaggi cerca di istruire l’altro, a volte con dolcezza, a volte con asprezza, ma entrambi solo raramente lasciando parlare il cuore, i sentimenti.
Dicevamo che se lo spettacolo fa sì che i suoi 90 minuti scorrano rapidamente è per merito degli interpreti, ma anche del testo, che riesce ad essere efficace di per sé, senza bisogno di alcun arredo scenico, senza altro che un gioco di luci e delle musiche evocative (trio Mothra). Volendo, la scelta di lasciare del tutto immobile Franco Branciaroli per tutto il tempo, se si contrappone alla mobilità della figlia, risulta in qualche momento piuttosto pesante, causa di controscene non sempre efficaci, ma sono inezie di fronte ad uno spettacolo di grande tensione espressiva, narrativa, politica (nel senso più alto del termine) e osiamo anche dire, poetica. Teatro non pienissimo, ma pubblico entusiasta per gli interpreti.
Sabato 30 marzo alle ore 18 è in programma “Conversando di teatro”: la compagnia incontra il pubblico nel foyer. L’ingresso è libero. Lo spettacolo è in scena fino a domenica 31 marzo. Informazioni: 0547-355959.