Cesena
Il giorno conclusivo della festa di Radio Tre a Cesena
Saltato per un malore dell’interprete il recital di Alessandro Bergonzoni, la terza e ultima giornata della festa di Radio3 a Cesena è iniziata alle 9 al Teatro “Verdi”, con un’altra “Lezione di musica”, sempre guidata da Carlo Boccadoro, con gli interventi musicali di Mirco Ghirardini (clarinetto) e Andrea Rebaudengo (pianoforte).
Fra i brani eseguiti, opere di Niccolò Castiglioni, Francis Poulenc Igor Stravinskij, alla ricerca della misteriosa commistione fra musica “classica” (che è esso stesso un termine, soprattutto nella musica moderna, molto difficile da definire bene) e musica jazz. Se in alcuni casi la ricerca dei musicisti del XX secolo indica strade interessanti da percorrere e crea musiche di grande suggestione ed efficacia, altre musiche, che si sono potute ascoltare in un Teatro “Verdi” all’inizio quasi vuoto, poi pian piano riempitosi di spettatori, hanno lasciato dietro di sé una profonda perplessità, il dubbio, cioè, che lo sperimentalismo fine a se stesso abbia avuto un solo effetto, l’allontanamento del pubblico dalla musica. Non che il pubblico abbia sempre ragione, però sembra che gli autori del XX secolo abbiano volutamente percorso una strada che, di fatto, ha condotto ad una separazione fra chi ascolta musica, in modo semplice, ingenuo, ma aperto, e chi la compone, più in un dialogo fra compositori che fra compositori e ascoltatori.
Filo rosso
Nella lunga fila che s’era creata di fronte al Teatro “Bonci” in attesa che venisse aperta la porta c’è stato tempo per parecchi scambi di battute con gli spettatori, che sopportavano il sole ardente di giugno (finalmente apparso dopo settimane di pioggia) chiacchierando. Si scopre così che alcune persone venivano da Reggio Emilia, altri da Modena, altri da Ferrara: chi era alla prima festa di Radio3, chi invece da quando esistono le segue, prendendo le ferie per potersi godere tre giorni di incontri, dibattiti, musiche. Inutile dire che il cronista locale chiede sempre a chi viene da fuori come trova la sua città: il commento è stato univoco, una serie di lodi per una città bella, pulita, ordinata, ben conservata. Un po’ di orgoglio campanilistico, ogni tanto, ci sta.
Finalmente entrati al “Bonci”, è stata la volta del penultimo “Filo rosso”, da Leonardo al design. Enrico Morteo ha ricordato di quando, nel 1968, a Carlo Scarpa fu commissionata dall’Olivetti la realizzazione di un allestimento per gli affreschi salvati dalle acque dell’Arno (novembre 1966), con trovate di design del tutto originali. Quella mostra, che girò molto, arrivando in Inghilterra e negli Stati uniti, cambiò la prospettiva economica dell’arte. Per la prima volta uno sponsor, un mecenate, interveniva non solo economicamente ma anche con soluzioni tecniche. L’azienda Olivetti proseguì negli anni questo percorso virtuoso, e così Pinin Brambilla Barcilon poté restaurare il “Cenacolo” di Leonardo, la sua opera più famosa per secoli e la sua opera più danneggiata, per la scelta dell’artista di non realizzare un affresco tradizionale, ma di usare i metodi della pittura da cavalletto su una superficie muraria. All’epoca, ha ricordato Morteo, lo Stato aveva richiesto il contributo dei privati, in una sinergia virtuosa che oggi sembra essersi spezzata.
Ascanio Celestini
Inutile dirlo, la fila fuori dal teatro era soprattutto per lui, Ascanio Celestini, che quando inizia il suo incontro può ammirare un “Bonci” gremito dalla platea al loggione. Ben tre conduttori sono attorno a lui, Rossella Panarese, Piero Del Soldà, Steve Della Casa, affinché Celestini presenti il suo nuovo libro, “Barzellette” (Einaudi), in cui l’affabulatore reinventa, interpreta, rielabora la forma di comunicazione orale più diffusa sul pianeta, ovvero la barzelletta, la storiella comica. Celestini è uno scrittore che gioca molto alla riduzione di quello che sa, fingendo di non ricordare bene i cognomi degli autori di cui ha letto i libri, e però sa infilare bene le strutture verbali delle sue frasi, o fa riferimenti colti che poi smentisce subito con un’espressione popolare, quando non addirittura rionale, tirando in ballo la nonna di Anguillara Sabazia. L’effetto è evidente: il pubblico si sente subito a suo agio, applaude freneticamente, ride quando deve ridere. Il tutto, senza che Celestini faccia niente di straordinario: sono le pause, gli ammiccamenti, la postura a rendere divertente un momento che potrebbe apparire perfino un po’ spento o caricato di eccessivo pathos. In fondo, si parla di barzellette, cose senza importanza. Come spesso succede, si comprende che dietro le barzellette ci può essere un mondo, la storia degli esseri umani, le loro gioie, i loro drammi, sempre all’insegna del politicamente scorretto, perché altrimenti la comicità si dissolve.
Filo rosso
Che il grande pubblico fosse lì per Celestini è stato evidente nell’immediato calo di persone quando si è passati all’ultimo “Filo rosso” della festa di Radio3. Enrico Morteo entra in scena con una Vespa. Basta questa parola, in Italia, per capirsi. Non c’è molto da dire, oltre alla bellezza, all’efficienza, alla qualità di un’invenzione che unisce una grande praticità (un mezzo comodo, economico, utile) ad una grande bellezza (una linea essenziale, pulita, che è quasi impossibile migliorare). La Vespa, in un certo senso, spiega perché l’Italia del dopoguerra è diventata l’Italia del boom economico. Sarà ancora in grado di ripetere gli esiti del passato?
La barcaccia
Lo storico programma operistico di Radio3 (è nato nel 1988) condotto da Enrico Stinchelli e Michele Suozzo ha avuto un grande ospite, Pier Luigi Pizzi, scenografo, costumista ed uno dei più famosi registi italiani. La conversazione ha riguardato gli allestimenti di Pizzi, con la visione di alcuni frammenti da sue storiche regie, da “Rinaldo” a “Un ballo in maschera, a “Un giorno di regno”. Rispetto all’edizione dell’anno scorso, una sfida fra Verdi e Wagner, l’esperienza di quest’anno è sembrata un po’ più stanca, perché ascoltare i ricordi di un grande del teatro come Pier Luigi Pizzi è senza dubbio per gli appassionati assai interessante, molto meno per chi appassionato non è, come ha segnalato anche il fatto che cominciavano ad apparire alcuni spazi vuoti all’interno del teatro, che era comunque sempre ben popolato.
Gran finale
L’addio (o arrivederci?) è stato dato da Marino Sinibaldi, direttore di rete, in compagnia dell’antropologo Marino Niola e dello storico Vittorio Marchis, raccontando la storia degli oggetti di uso quotidiano, dalla zip dei vestiti alle trappole per topi. Le musiche degli “Scaricatori di Portico” hanno accompagnato il momento conclusivo della rassegna, insieme alle voci di alcuni cesenati, che hanno letto testi sugli oggetti e sulle invenzioni. Sono stati tre giorni intensi, e inevitabilmente con momenti più alti e altri meno efficaci, ma nell’insieme un bel momento di cultura, di ragionamenti, di dialoghi: in particolare di quest’ultima invenzione umana pare esserci sempre più bisogno. E, per fare un altro po’ di campanilismo, la gestione del tutto è stata lodata perché pressoché priva di difetti.
Info: www.radio3.rai.it