Addio al dottor Russo, anestesista del Bufalini. Aveva 47 anni

La nostra intervista nel 2020. Il commosso ricordo del collega Alessandro Circelli: "Grande vuoto. Parlavamo spesso di sport e di fede"

Il dottor Emanuele Russo

Profondo cordoglio all’Ospedale Bufalini di Cesena per la morte prematura del dottor Emanuele Russo.

Una morte improvvisa

Russo è morto all’improvviso, a soli 47 anni, lunedì 9 dicembre. Di origini napoletane, era medico anestesista rianimatore dell’Ausl Romagna, in servizio presso il nosocomio cesenate dal 2006. Era il facente funzioni e il responsabile della Terapia intensiva di Cesena, oltre che professore a contratto per l’Università di Bologna.

La nostra intervista nel 2020

Nel dicembre 2020, in piena pandemia, lo abbiamo incontrato. Al direttore Francesco Zanotti, Russo sottolineava che il Covid aveva “messo sotto gli occhi di tutti il taglio degli ultimi anni alle risorse sul sistema sanitario”, ma anche “fornito l’occasione per riscoprire il valore della ricerca“.

Questo il link per recuperare quella intervista: https://tinyurl.com/rny8fsub.


Il ricordo del collega

Fra i messaggi di cordoglio, quello del collega, il dottor Alessandro Circelli, giunto in redazione. Ne pubblichiamo il testo integrale.

Caro direttore,
lunedì 9 dicembre, nella sua Napoli, è venuto improvvisamente a mancare il dottor Emanuele Russo.
Medico anestesista-rianimatore stimatissimo, padre e marito premuroso, sportivo (tifoso e praticante) appassionatissimo.

Il vuoto, la mancanza della sua presenza, già si sente. Solamente ieri mattina, mentre entravo nella stanza dove ci cambiamo insieme, mi aspettavo di vedere una felpa del Napoli, o un pantalone, o una giacca appesi, oppure di sentire le chiavi aprire la porta e vederlo entrare raccontandomi il suo cruccio della mattina: quell’incastro di turni di lavoro che non tornavano, oppure le persone che già di prima mattina lo avevano chiamato per risolvere uno dei tanti problemi che un grande ospedale quotidianamente si ritrova. Oppure anche solo tutti i giri che aveva dovuto fare il pomeriggio precedente per accompagnare le figlie alle varie attività che le adolescenti odierne hanno. Quando arrivavamo di buon umore magari si parlava di calcio, più che altro della “mia” Fiorentina, perché il Napoli lui lo viveva in “integralmente”, perciò non avevano bisogno di parlarne ulteriormente. Oppure di ciclismo, di quanto andavano forte i professionisti adesso e se dietro ci fosse qualcosa dietro, a noi sconosciuto. Perché in bici, quando sono arrivato a Cesena, giovane anestesista con una biciclettina da pochi euro, mi ha insegnato ad andare lui. Nel senso di come si sta a ruota, come si sta in gruppo, come vanno prese le salite, e praticamente tutte le salite della Romagna, per lo meno del circondario di Cesena, me le ha fatte scoprire lui. Tra l’altro sempre con una lucidità e precisione sui tempi di percorrenza (e quindi di rientro), perché era sempre un incastro tornare in tempo per il lavoro o cos’altro di una vita di padri con bambini piccoli avesse da proporre. Sempre davanti, non mi faceva mai tirare, se non per brevi tratti (le curve di Gualdo erano fra queste, lo sapeva e mi lasciava fare).

“Clamoroso fiuto clinico”

Tutte le mattine è stato così: uno scambio di impressioni, opinioni, sensazioni in quei due minuti che servivano per cambiarci e infilarci quelle divise blu. Ma cambiarci e vestirsi non era trasformarsi. Ci accumuna questa cosa, il fatto di rimanere le stesse persone, nel bene e nel male, trasparenti e dirette (a volte anche troppo). Ma chiusa la porta di quello spogliatoio, ci armavamo di coltello tra i denti per andare incontro alla giornata di lavoro, con le difficoltà e gli incastri organizzativi, le incomprensioni relazionali. La spiccata capacità di problem solving lo ha portato a seguire sempre più aspetti della vita di una grande terapia intensiva. Anche se sempre meno, continuava a fare il medico: aveva di una capacità di inquadramento di un paziente o di un problema fuori dal normale, frutto della sua enorme cultura e di un clamoroso fiuto clinico: quello non si impara, si può forse affinare, ma o ce lo hai o non ce lo hai. E se avevo un dubbio, la domanda era sempre quella: Lele, che ne pensi? E le soddisfazioni, nel senso di vedere dei pazienti che insperatamente sono sopravvissuti e andati bene, in questi anni non sono mancate. Forse poco celebrati: successi che potevano essere più valorizzati, perché un mondo difficile come la sanità pubblica odierna, queste eccellenze, questi risultati (e non solo numeri), creano morale e slancio.

“Pochi giorni fa hai salvato il signor G.”

L’ultimo caso, Lele, pochi giorni fa: mi hai coperto un mercoledì notte, perché io il giovedì dovevo andare a fare una procedura in un altro ospedale. Notte pesantissima, perché un paziente, già gravissimo, si complica e sviluppa una gravissima infezione. Il tuo intervento tempestivo, già nei primi minuti, ha fatto sì che le terapie facessero effetto subito e in 72 ore l’infezione è stata domata. Io non sarei stato così sveglio da accorgermene in così poco tempo e con così pochi segnali, come hai fatto tu. Il signor G. te ne sarà grato, e purtroppo per te, sei ufficialmente il suo angelo custode.

“La Madonna di Piedigrotta ti ha preparato un posto”

Parlavamo spesso di fede, ti incuriosiva il mio affidarmi sempre, nella mia piccolezza, a Colui che ci ha creato. Mi chiedevi brani delle encicliche di vari Papi relativamente ad alcuni aspetti dell’etica biomedica. Io te li davo, ma poi tu ti leggevi l’intera enciclica e anche le altre di quel Papa. La Madonna di Piedigrotta era sempre da te nominata, ma non come imprecazione (a volte un pochino sì, dai), ma proprio come richiesta di aiuto in questo mondo in cui non si può arrivare a fare, infilare, gestire e organizzare tutto. Dalla tua Napoli, Lei ti ha già preparato la casa dove, sono certo, ti stai già facendo due chiacchiere (ma anche due tiri, in paradiso tutto è possibile) con il tuo idolo Diego Armando Maradona. E sono anche certo che, tra tutte le persone che sono lì, ti è venuto a cercare anche la mia amica Cate, mamma, moglie e chirurgo, anche lei andatasene via troppo presto, per noi. Te ne ho parlato tante volte di lei. Non mi ha mai detto tanto: quello era un silenzio carico di domanda. Vi vedo già lì, un anestesista e un chirurgo che ci vegliano dal paradiso. Di cos’altro dobbiamo avere paura?
Grazie infinitamente della tua amicizia
Alessandro