Dal Mondo
Siria. Dal villaggio cristiano di Maaloula: “Tanta speranza ma l’agnello non si trasformi in lupo”
La testimonianza di padre Al Barkil da luoghi che un tempo erano meta di pellegrinaggio
Maaloula è il villaggio cristiano che nel 2013 rimase per nove mesi, subendo forti devastazioni, nelle mani dei jihadisti dell’allora Jabhat al Nusra, oggi Hay’at Tahrir al-Sham, (Hts), la stessa milizia di opposizione che ha fatto cadere pochi giorni fa il regime del dittatore Bashar Al Assad. Il Sir ha raccolto la testimonianza di padre Fadi Al Barkil priore del monastero dei santi Sergio e Bacco, a Maaloula, uno dei luoghi simbolo della cristianità siriana. Nelle sue parole speranza mista a preoccupazione per il futuro della Siria
Maaloula è un villaggio cristiano a circa 60 chilometri a nord est di Damasco. Qui i suoi abitanti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo.
Nel settembre del 2013 Maaloula fu conquistato, e preso come base militare, dall’allora Jabhat al Nusra, oggi Hay’at Tahrir al-Sham, (Hts), la stessa milizia di opposizione che ha fatto cadere pochi giorni fa il regime del dittatore Bashar Al Assad. La notizia della caduta di Maaloula in mano ai jihadisti, all’epoca, fece il giro del mondo. Maaloula è un villaggio dai colori rossastri come quelli del massiccio al Qalamoun che lo sovrasta.
Meta di pellegrinaggi
Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è abitato da poche migliaia di cristiani che vegliano sulle sue chiese e monasteri come quello greco ortodosso di santa Tecla, discepola di san Paolo che tra queste rocce trovò rifugio dai suoi persecutori, e quello melkita del VI secolo Mar Sarkis, dedicato ai santi Sergio e Bacco, militari romani martirizzati per la loro fede sotto l’Imperatore Galerio (250-311 d.C.).
Prima della guerra civile Maaloula era una meta di tanti pellegrini che da ogni parte del mondo ogni anno venivano a pregare tra queste montagne, in una delle culle del cristianesimo siriano.
Durante i circa nove mesi di occupazione jihadista (settembre 2013 – maggio 2014) il villaggio venne ‘sfregiato’, chiese e arredi sacri danneggiati, libri sacri e icone bruciate, campane rimosse e croci abbattute. Abbattute come la statua della vergine Maria, Signora della pace, che però oggi è tornata a proteggere il villaggio, dalla cima più alta, dove è stata riportata dopo la liberazione del villaggio, dai giovani cristiani, aiutati dai loro amici musulmani.
Tra gioia e preoccupazione
Padre Fadi Al Barkil è il priore del monastero dei santi Sergio e Bacco. È nato e cresciuto a Maaloula e subito alza la sua preghiera perché il suo “villaggio, la Siria, culla delle religioni, e tutti i siriani possano rinascere e risorgere” dopo tanta sofferenza provocata dalla guerra civile.
Dopo l’occupazione del Fronte Al-Nusra – ricorda al Sir il sacerdote melkita – siamo rientrati a Maaloula, pieni di speranza e fiduciosi che saremmo tornati alla vita. Quasi l’80 per cento della popolazione era sfollata a Damasco. Tanti i giovani che se ne sono andati. In collaborazione con le istituzioni ecclesiastiche abbiamo restaurato molte case (la Cei ha finanziato la riparazione di 190 abitazioni, ndr.) e le chiese”.
Le ferite ancora aperte di quei nove mesi trascorsi sotto Al Nusra non si sono ancora del tutto rimarginate e forse anche per questo motivo che oggi, alla gioia per la caduta del regime di Assad si mescola anche un po’ di preoccupazione. “Aspettiamo di vedere come vanno le cose – spiega il priore –. La situazione adesso nel villaggio è calma. Abbiamo ripreso dialoghi e contatti con i nostri vicini musulmani e aspettiamo l’arrivo di rappresentanti della ‘nuova amministrazione’ per incontrarli e capire qual è la loro visione di Maaloula e della vita in questo paese”.
“Tanti di noi – aggiunge – si sentono più sollevati. Dopo le sofferenze patite sotto gli anni di regime ora speriamo di riassaporare la libertà”.
“Ci sono molte cose belle in Siria ma non potevamo goderne. La prima cosa che ci auguriamo è che la sicurezza ritorni quanto prima nella nostra amata nazione. La sicurezza porta il turismo e sostiene l’economia. E poi una nuova Costituzione che rispetti il popolo senza fare distinzioni. Siamo tutti siriani”.
Padre Fadi mostra prudenza: ai proclami di rispetto, di libertà e di inclusione lanciati in questi giorni dai nuovi capi della Siria, spiega, “dovranno seguire azioni concrete”. Diversamente potrebbe accadere che “l’agnello si trasformi in lupo. E un po’ di paura c’è”. Alimentata anche da alcuni video che cominciano a circolare sui social dove alcuni di questi capi di Hts dicono di voler governare applicando “la legge islamica, introducendo un diverso codice di abbigliamento, l’eliminazione di alcol e bevande, altro ancora”.
Comunità internazionale per la Siria che verrà
A tale riguardo il priore confida molto nel sostegno alla ‘Siria che verrà’ della Comunità internazionale: “Auspicava una rivoluzione pacifica. Bene. Ora spero che ci aiuti a difendere i diritti e la libertà dei siriani e a costruire la nuova Siria. Ma la prima cosa che dovrebbe fare è rimuovere le sanzioni e assicurare il rispetto di tutte le minoranze”.
Ma sulla parola ‘minoranza’ padre Fadi ci tiene a precisare che “noi cristiani non siamo una minoranza ma siamo cittadini siriani a pieno titolo che appartengono alla religione cristiana”.
Natale e Giubileo
Mancano pochi giorni al Natale e al Giubileo: “Il giorno in cui è caduto il regime ho invitato tutti a unire gli sforzi per ricostruire la Siria, quindi tendere le mani gli uni agli altri e superare le differenze. Condividiamo il nostro dolore e le nostre appartenenze religiose per costruire una Siria su fondamenta di amore e pace. Chiediamo a Gesù che nasce di donare a tutti e alla Siria in particolare la sua pace. Possa la pace arrivare in Siria. Possano i siriani tornare a vivere nella gioia e nella pace. Cristo nasce, glorifichiamolo!”.