Cesena
Intervento Snam a Provezza per il metanodotto. La proprietaria: “Quando saranno qui davanti, dirò: non mi muovo. Stavolta non mollo”
Marta Garaffoni e Federico Raspadori stavolta non mollano. Sono sposati dal 7 dicembre 2019, poco prima dell’avvio della pandemia in Italia. Davanti hanno un colosso come la Snam che ieri, con raccomandata datata il 23 agosto, li ha informati di dover passare sul loro terreno per la realizzazione del metanodotto Sestino-Minerbio, dalla provincia di Arezzo a quella di Bologna, passando per Sarsina, Mercato Saraceno, Cesena e altri territori romagnoli.
Nella piana cesenate la Snam attraverserà il terreno di proprietà dei coniugi Raspadori, in località Provezza, al confine con Bertinoro. Qui i due giovani, entrambi classe 1991, hanno deciso di dare forma ai loro sogni: una casa in aperta campagna, ben collegata con la città, con la secante non lontana, per ospitare amici con bambini, e soprattutto tanti animali, e piantare centinaia di piante per ricavarne un bosco. Non un agriturismo, dicono con decisione i due, ma un’opera sociale per realizzare progetti con contatto con gli animali e in favore di persone con disabilità. “A metà strada tra il volontariato, che abbiamo sempre svolto negli scout del Cesena 1 – dice Marta – e quello che un giorno potrebbe diventare anche il nostro lavoro”.
In questo luogo un po’ fuori dal tempo, con il loro due ettari di terreno che si rivolgono verso il bel colle di Bertinoro (foto qui sotto), Marta e Federico hanno investito tutti i loro risparmi e il loro tempo. “Abbiamo i nostri lavori che ci garantiscono il minimo per vivere – dice ancora Marta – ma qua abbiamo impiegato tutte le nostre energie prima per passare dall’affitto alla proprietà, poi per recintare il terreno con l’aiuto di amici per oltre 600 metri lineari e per piantare 7-800 tra alberi e arbusti che annaffiamo uno a uno. Per fare il giro di tutto ci vogliono almeno cinque ore, una volta ogni due giorni”.
Federico, con studi in Scienze faunistiche all’università di Bologna, e Marta, un passato da liceali a Cesena, non amano molto parlare dei loro trascorsi e delle precedenti esperienze lavorative. Quello che hanno costruito qui a Provezza è il loro sogno e su quello vogliono puntare. Non hanno intenzione di farsi intimorire da una grande azienda che qua ha deciso, a loro avviso, per la realizzazione di un’opera fuori tempo massimo.
Marta ora ha un’associazione sportiva che conduce con la sorella. Si occupa di ballo con “Rapsodia danza”, ma “quando mi chiamano i carabinieri per la vicenda ancora in ballo della caldaia (cfr pezzo al link più sotto) perdo anche le mie entrate”, precisa la giovane signora.
“Non capisco perché debbano dare seguito ora a questo progetto ideato nel 2007, quando ormai il gas è a fine corsa. Durerà ancora 10-15 anni, non di più. Costruire un metanodotto ora è uno spreco di soldi, un’opera inutile. Qua, invece, vogliono iniziare a primavera. Non c’è tanto tempo davanti a noi. Nessuno dei nostri vicini sapeva nulla, almeno così ci è stato detto. In Comune hanno riferito che non era loro competenza”.
Ma i tecnici intervenuti durante la compravendita non si erano accorti di nulla? Il dubbio rimane, ma provarlo non sarà facile.
Intanto ci sono le due raccomandate arrivate, una il 17 maggio e l’altra proprio ieri, quella che ha fatto mandare su tutte le furie Marta che ricostruisce la vicenda che ha dell’assurdo.
“In piena alluvione – racconta con non poca passione – quando qua l’acqua era entrata nel cortile dalla mattina del 16 maggio, il 17 maggio, la postina ci recapita una raccomandata. Noi avevamo ospitato i miei genitori che era venuti qua perché abitano in zona san Rocco, vicino al Ponte vecchio. Solo allora apprendiamo del progetto del metanodotto. Non potevamo crederci. Io mi sono sentita male. Abbiamo chiesto se potevano ripensarci, se si poteva passare pochi metri più in là, dove c’è un campo coltivato a grano, ora arato (foto in basso), in modo da non invadere la nostra proprietà e mandare in fumo tutto il lavoro da noi realizzato con tanto sudore. Ci è stato risposto che ci avrebbero fatto sapere. Poi non abbiamo saputo più nulla, fino a ieri, quando è arrivata la lettera (cfr foto qui sotto, ndr) con la quale ci dicono dell’indennizzo e dei lavori. Stop”.
Per Marta e il marito non è questione di soldi. “Potevano offrici anche quattro milioni di euro. Noi da qui non ce ne andiamo. È una questione di giustizia. Avere una servitù in virtù della quale in qualunque momento una ruspa può entrarci in casa e può abbattere le nostre piante e ciò che qui abbiamo realizzato è qualcosa mi sconvolge. Qua non ci dormo più la notte da tempo e devo ricorrere a diversi ansiolitici che mi prescrive il mio babbo”.
Marta e Federico non si danno per vinti. Per loro si sta muovendo il Tavolo delle associazioni ambientaliste che ha sede a Forlì. Marta è molto battagliera, il marito un po’ più riflessivo, ma non meno determinato. “Qua volevamo crearci il nostro futuro, come lo avevamo sempre sognato – insiste lei -. Poi scopri che la tua casa diventa un cantiere, quella per cui ti sei sbattuto e per cui hai dato tutto quello che avevi, e anche di più, visto il mutuo che abbiamo contratto e l’aiuto chiesto ai nostri genitori. Qua siamo ancora senza caldaia (il riferimento è alla vicenda dello scorso anno, cfr link qui sotto, ndr) e abbiamo una causa penale e una civile aperte, con il danno di truffa aggravata nei nostri confronti. Abbiamo subito un’ingiustizia dietro l’altra. Già la prima storia ci aveva esaurito. Ora è arrivata anche questa del metanodotto. Ma questa volta mi lego agli alberi e mi devono passare sopra. Per questo nostro sogno ci siamo ammazzati così tanto che non ce lo faremo portare via”.
Con gli occhi ormai lucidi e con lo sguardo rivolto ai suoi terreni, ai suoi campi, ai suoi animali che conosce quasi tutti per nome, Marta conclude la sua appassionata arringa a difesa di quanto ha costruito con Federico. “Quando saranno qui davanti con le ruspe dirò loro: schiacciatemi. Da qui non mi muovo. Altri strumenti non abbiamo. Abbiamo la solidarietà di tanti amici disposti a battersi con noi. La vicenda della caldaia ci ha fatto comprendere che non si deve mollare. Magari finiremo i nostri giorni in galera, ma da qui non mi muovo”.