Al Bonci, inizio di stagione con lʼopera lirica Gianni Schicchi

Con lʼunica opera buffa del repertorio di Giacomo Puccini, di cui il prossimo anno ricorreranno i cento anni dalla morte, si è inaugurata la nuova stagione del Teatro “Bonci” di Cesena. Di fronte a un teatro gremito di pubblico, il Conservatorio “Maderna” ha allestito “Gianni Schicchi”, atto unico del maestro toscano.

Lʼatto unico in origine era il capitolo conclusivo del “Trittico”, unʼidea molto originale di Puccini, che in un periodo di crisi compositiva e di pubblico, volle proporre qualcosa di inedito: tre opere liriche brevi da rappresentarsi assieme. Allʼinizio il compositore aveva pensato a un dittico, unʼopera tragica e una comica, ma successivamente si decise per il terzetto di opere, “Il tabarro”, una cupa vicenda di tradimento e morte sulle rive della Senna agli inizi del Novecento, “Suor Angelica”, dramma di peccato e conversione in un convento nel XVII secolo, e, appunto, “Gianni Schicchi”, ambientata nella Firenze del XIII secolo: lʼispirazione nacque nel librettista, Giovacchino Forzano, dal canto XXX dellʼ“Inferno” di Dante («l’altro che là sen va, sostenne, / per guadagnar la donna de la torma, falsificare in sé Buoso Donati, / testando e dando al testamento norma»), in cui si evoca il personaggio di Gianni Schicchi, che imitò il già defunto Buoso Donati per fare scrivere un nuovo testamento.

Lʼopera vide il debutto a New York, al Metropolitan, il 14 dicembre 1918: in Europa la Grande guerra era appena finita ma imperversava lʼepidemia “spagnola” che vide la chiusura di teatri, scuole, e lʼinterruzione della socialità pubblica (eventi di cui siamo stati, a distanza di un secolo, nuovamente testimoni), e perciò si preferì una inaugurazione oltre oceano. Lʼopera fu poi allestita lʼ11 gennaio 1919 al Teatro dellʼopera di Roma.

Commedia brillante, i circa quaranta minuti di spettacolo vedono gli afflitti parenti di Buoso Donati, ricco nobile fiorentino, piangere la sua dipartita: i parenti però piangono davvero quando scoprono che lʼanziano parente ha lasciato tutti i suoi beni ai frati di Santa Reparata. Cʼè, però, una speranza: il furbo Gianni Schicchi accetta di aiutare i Donati in cambio del matrimonio fra sua figlia Lauretta e il giovane Rinuccio. Dato che nessuno sa ancora che Buoso è morto, sarà Gianni a interpretarlo, facendo redigere al notaio un nuovo testamento. I parenti sono felicissimi, però cʼè un ulteriore problema: alcuni beni vengono distribuiti facilmente, ma restano una preziosa mula, la casa di Firenze e i mulini di Signa da attribuire. Tutti li vorrebbero, e offrono parecchio denaro a Schicchi per ottenerli. Lui finge di accettare il denaro, ma al momento giusto attribuisce a se stesso proprio quei beni. I parenti infuriati non possono rivelare la verità, perché verrebbero puniti insieme a lui. Alla fine, trionfa lʼamore fra Lauretta e Rinuccio.

Lo spettacolo cesenate, produzione del Conservatorio “Maderna”, ha visto sul palcoscenico un cast affiatato e frizzante, ben diretto a livello teatrale da Stefano Vizioli e a livello musicale da Paolo Manetti. Ottime le voci, in particolare il protagonista, Sundet Baigozhin, bravissimo interprete. Fra gli altri, oltre alla Lauretta di Fatma Çaka (applaudita a scena aperta per la famosa aria «O mio babbino caro», forse la più famosa dellʼopera) e al Rinuccio di Haiyang Guo, va segnalata la Zita di Sara Ceccaroni, brava a livello vocale e come interpretazione scenica.

Molto bella la scenografia, di Margherita Tosato, realizzata dalla Scuola di scenografia dellʼAccademia di Belle arti di Bologna: grandi armadi si aprivano, rivelando curiosi dettagli interni, in un gioco di citazioni ironiche ed efficaci.

Nellʼinsieme, un bellissimo esordio per questa nuova stagione (in cui gli spettacoli non inizieranno più alle 21, come per il passato, ma alle 20,30) grazie allʼopera di un conservatorio, quello cesenate, piccolo, ma ricchissimo di qualità artistica.