L’esperto Alberto Grandi: “La pizza? Prima negli Stati Uniti, poi in Italia”

“La tv ha contribuito, negli ultimi 50 anni, a creare il mito della cucina italiana. Un mito in realtà senza passato, in taluni casi una cucina di ritorno grazie agli emigrati che tornavano in Italia dopo aver fatto fortuna all’estero e che proponevano piatti reinventati dettati dalla disponibilità economica”. Alberto Grandi, storico dell’Alimentazione e docente universitario a Parma, ha partecipato qualche sera fa all’incontro organizzato nel Museo dell’Ecologia di Cesena. Vista anche la caratura del personaggio, la serata ha registrato il tutto esaurito. Presente, fra gli altri, l’esperto di agricoltura, nonché consigliere comunale, Marco Casali.

Grandi nel 2018 ha pubblicato un libro “Denominazione di origine inventata” che smonta molta poesia che sta attorno alla cucina e al cibo italiano. Nello scorso mese di marzo una sua intervista pubblicata sul Financial Times di Londra ha fatto il giro del mondo. “La carbonara l’hanno inventata gli americani e la pizza si è affermata negli Stati Uniti grazie agli emigrati italiani, per poi tornare in pompa magna a metà del secolo scorso”: sono solo alcune delle tesi ‘incriminate’ che Grandi ha ripetuto anche a Cesena.“Io fatto lo storico dell’alimentazione. Studio le fonti e i documenti. Tutta la poesia e la retorica la lascio alle trasmissioni tv. E di cuochi, in tv, non ne mancano. La stragrande maggioranza degli italiani ha vissuto in povertà fino a metà degli anni ’50. Milioni di italiani non solo dal sud, ma principalmente dal nord, emigravano per cercare un tozzo di pane. Quindi, di quale cucina stiamo pensando che un terzo dei contadini veneti soffriva di mancanza di vitamine perché mangiava solo polenta?”.

E gli esempi che Grandi ha portato sono stati tantissimi. “La cucina italiana ha conosciuto un periodo d’oro nel Rinascimento, in linea con la potenza delle sue principali città. C’erano più soldi e, quando ci sono quelli, ci si può permettere anche di variare l’alimentazione. Ma di certo i gusti di allora non sarebbero apprezzati oggi: tante spezie, troppe, quasi da sembrare una cucina asiatica”.

Poi cambiano gli equilibri politici ed economici e il fulcro si sposta in Francia. “Per due secoli la cucina è stata quella francese. Tutte le corti italiane si rifacevano a quella e i più innovativi mandavano il proprio cuoco a imparare a Parigi”.

Capitolo a parte merita l’Artusi. “Beh, è considerato il padre della cucina italiana grazie al suo famoso libro, ma non era certo un esperto. Lui stesso diceva che sul pane e sui lievitati i migliori erano i tedeschi”.

Che dire della pizza? “La pizza non si può toccare, è sacra – ha scherzato Grandi – eppure Matilde Serao scrive, nel 1888, che a Napoli ha mangiato una cosa sudicia, cattiva, improponibile. Insomma, una cosa ben lontana dall’attuale. Ma la pizza si è imposta prima negli Stati Uniti che non in Italia. Il primo negozio a proporre solo pizza è a New York, nel 1911. I soldati americani in Italia durante la seconda guerra mondiale scrivono a casa increduli che ‘in Italia non esistono pizzerie”.

E in effetti, fino alla fine degli anni ’60, al centro e nord d’Italia era difficile trovare un negozio di pizza.

“Ci siamo inventati la tradizione – ha concluso Grandi – perché è bello, e forse anche indispensabile, potersi sentire i primi della classe grazie a una storia che garantisce per noi. Però non è così. Il che non toglie nulla alla qualità, alle innumerevoli proposte odierne, alla cucina regionale. Ma non diciamo che ha origini antiche: è un’invenzione di qualche decennio fa”.

A fare i saluti finali è stato Lorenzo Rossi, presidente di Orango, l’Associazione che ha gestito il museo negli ultimi anni e che a breve “toglierà il disturbo” lasciando la gestione ad altri. “Abbiamo fatto del nostro meglio, ma siamo risultati poco graditi ad alcuni. Ma non si può piacere a tutti. La vostra presenza, ancora una volta così numerosa, mi fa capire però che non abbiamo lavorato male”.