Cesena
Al “Bonci” in scena il noto romanzo di Michela Murgia
Il romanzo risale al 2009, e ha riscosso numerosi premi (Premio Dessì, SuperMondello, Campiello), facendo conoscere a un pubblico assai vasto il nome di Michela Murgia, che fino a quel momento era nota soprattutto per “Il mondo deve sapere”, romanzo-memoriale derivante dalla sua esperienza presso un call center.
Con “Accabadora” l’autrice fece un vero e proprio salto nel tempo, tornando indietro di oltre mezzo secolo, nella Sardegna degli Anni Cinquanta, mentre la modernità si stava avvicinando alle comunità rurali, ma ancora non le aveva distrutte: è quel momento storico su cui si soffermò, fra le altre, la riflessione di Pier Paolo Pasolini. Una Sardegna profonda, quella del romanzo, che è stata messa in scena ieri sera al “Bonci” e in programma oggi, con la riscrittura drammaturgica di Carlotta Corradi e l’interpretazione di Anna Della Rosa, per la regia di Veronica Cruciani.
Poco più di un’ora per conoscere la vicenda di Maria, che all’età di sei anni viene affidata a Bonaria Urrai come «fill’e anima», una forma di adozione concordata tra il genitore naturale e quello adottivo. La donna vive sola, fa la sarta e all’occorrenza è anche “accabadora”. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo “acabar” che significa uccidere, finire: Bonaria aiuta le persone in fin di vita a morire. La bambina cresce nell’ammirazione della nuova madre, più colta e attenta della precedente, fino al momento in cui scopre il terribile ruolo che svolge nella piccola comunità e fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato. Anni dopo è costretta a tornare sul letto di morte di Tzia Bonaria: l’accudimento finale è uno dei compiti che spetta ai “figli d’anima”.
Lo spettacolo inizia proprio dal ritorno di Maria sull’isola, dal silenzio fra due donne con il peso di un lungo tempo di separazione. Stare in scena da sola per oltre un’ora non è facile, ma Anna Della Rosa riesce nell’impresa, dominando la scarna scenografia (quasi inesistente: una panca, una sedia, e poco altro) con un’interpretazione di grande livello, sia per l’espressività fisica sia per quella vocale. Se la gestualità funziona, altrettanto, e forse più, si può dire per la voce, che riproduce la parlata sarda, ma oltre a questo fenomeno di imitazione del vero, c’è la scelta delle numerose tonalità, il suono più delicato, quello più sonoro, fino, nel finale, alla voce della Tzia Bonaria in persona. L’attrice è sempre quella, eppure, quando nell’ultimo momento dello spettacolo, si avvicina al proscenio e racconta l’origine della “accabadora”, ci pare di sentire una voce del tutto nuova.
Pubblico numerosissimo e teatro pressoché esaurito: un lungo silenzio (e anche qualche risata, soprattutto all’inizio), e alla fine, un lungo, fragoroso applauso.