Giuseppe Giacobazzi, anzi, Andrea Sasdelli al teatro Bonci

«Almeno ci siamo fatti delle belle risate». Questa frase, colta al volo mentre il numerosissimo pubblico sciamava fuori dal Teatro “Bonci”, può riassumere il senso dell’esperienza fatta in compagnia di Andrea Sasdelli. Lo spettacolo, in scena al Teatro comunale venerdì 4 e sabato 5 febbraio, non fa parte della programmazione di Ert, in quanto il teatro ha semplicemente ospitato il recital del comico romagnolo.

Teatro pienissimo, come non si vedeva da tempo, per un monologo di due ore in cui Andrea Sasdelli ha raccontato, in modo colorito e comicamente rafforzato rispetto alla realtà, la vita della bassa Romagna, le esperienze di vita con gli amici, la quotidianità di un mondo in cui è sempre più facile incontrare maschere che persone vere. Se il nome di Sasdelli non ha fatto drizzare le orecchie ai lettori, dovremo ricorrere al nome d’arte del comico, ovvero Giuseppe Giacobazzi.

Dopo l’esordio nella radio, negli Anni Novanta il pubblico emiliano e romagnolo apprezzò il personaggio del “poveta” nel glorioso “Costipanzo Show”, parodia, come si intuisce dal titolo, dello show che in quegli anni rappresentava un punto di riferimento della televisione italiana. Trasmesso da dancing o sale teatrali, il “Costipanzo show” appariva sulle piccole televisioni private con grande successo, e rappresentò per Sasdelli-Giacobazzi il trampolino di lancio per la televisione nazionale, in particolare per “Zelig”, programma di comici dove l’improbabile poeta romagnolo riscosse un grande successo fra il 2006 e il 2012.

Come spesso succede con i comici di successo, il contrasto fra la maschera indossata a teatro e la vita vera si è fatto sentire, e nel momento più intenso del lungo monologo, Sasdelli racconta di come il successo, a livello nazionale, l’abbia allontanato dagli amici, dalle passioni, persino dalla famiglia.

In scena, infatti, non c’è Giuseppe Giacobazzi, il ridicolo poeta dal pesantissimo accento della bassa Romagna, ma il suo autore, che svolge una riflessione sulla società d’oggi, sempre più civiltà dell’apparenza e non della sostanza.

Fermiamo subito il lettore: gli elementi seri, o forse seriosi, sono già finiti, e per gran parte delle due ore di spettacolo il pubblico ride tantissimo, e applaude, ripetutamente, il comico che per riuscire a fare lo spettacolo è dovuto ricorrere a un tutore per la spalla sinistra, dopo una grave caduta avvenuta nella stessa giornata di venerdì. «Perché quando uno è patacca, lo è proprio fino in fondo», ironizza Sasdelli, facendo una smorfia di dolore quando, durante la serata, si deve mettere a posto l’imbragatura nascosta sotto la camicia. Un lodevole esempio di dedizione al lavoro; come l’aver atteso quasi due anni per vedere questo recital, che era pronto all’inizio della pandemia ed ora, finalmente, può andare in scena e farsi vedere dal pubblico.

Il critico avrebbe qualcosa da dire su un certo squilibrio fra la parte seria e quella comica, e sul fatto che, nonostante Giacobazzi non sia in scena, il gusto per la grossolanità non sia venuto meno, e che forse qualche minuto in meno avrebbe giovato, perché in alcuni momenti il testo ha il fiato un po’ corto, ma ci ripensa, considerando tutte le volte che ha riso anche lui, lodando la resistenza fisica del protagonista e, soprattutto, condividendo l’espressione dell’anonimo spettatore, contento, per una serata, di essersi svagato da drammi e pandemie, ed essersi fatto quattro risate; per quanto alcune possano essere state un po’ grevi, la comicità dai tempi di Aristofane di questo è fatta, e serve sempre al suo scopo, alleviare un po’ gli affanni della vita. E quanto ne abbiamo, tutti, bisogno.