Santa Maria Nuova. I profughi ucraini accolti nella storica casa-famiglia di Francesco Della Corna

“È nato un progetto – dice Mattia Della Corna -. Tanti amici si sono fatti coinvolgere, vicini di casa, parenti, parrocchiani di Santa Maria Nuova di Bertinoro. Abbiamo raccolto denaro, generi alimentari, di prima necessità. Ci hanno portato anche alcune biciclette che servivano di certo per arrivare in paese. Si è mosso tantissimo. E questo progetto continuerà. Siamo disponibili per chi non ha nessuno e non sa dove andare“.

Mattia sta parlando dei profughi giunti in Italia dall’Ucraina. Oggi pomeriggio, nella storica casa-famiglia avviata tanti anni fa dai suoi genitori Francesco e Mariella da qualche giorno sono presenti due nuclei familiari. Uno è composto da una nonna con la figlia e la nipote e un simpatico cane. L’altro da una madre con due figli. Di uomini, come ben si sa, non se ne vede mai uno, neanche di figli ultra diciottenni. 

C’è anche il sindaco di Bertinoro, Gessica Allegni. “In questo momento – dice in attesa dell’incontro – abbiamo 50 residenti di origine ucraina e altri 50 ospitati nelle famiglie o in case-famiglia come questa dei Della Corna. Le questioni aperte sono tante, come tanta è la generosità della gente. Da domani ci sarà da pensare alla scuola, ai contraccolpi psicologici per i bambini che hanno i padri in guerra, ad accompagnare questa loro permanenza qua da noi che non sarà breve, anche se tutti loro pensano di poter tornare in breve”.

“Tre richieste – aggiunge Mattia – ci hanno fatto subito: il wifi, per mantenersi in contatto con gli amici e i parenti in patria. Secondo: di poter imparare a conoscere l’italiano e ho già iniziato a fare un po’ di lezione. E per terzo: poter lavorare. Non vogliono entrare nei negozi con i soldi che diamo noi”.

Fa eco a Mattia il padre Francesco: “Abbiamo sempre un grande desiderio: quello di mettersi nei panni degli altri. Non è stato semplice rendere questa casa di nuovo abitabile, ma ce l’abbiamo fatta con l’aiuto di tante persone. Chi viene qui ha il diritto di essere aiutato. Oggi è toccato a loro, domani potrebbe toccare a noi”.

Grazie a Margherita, che vive a Civitanova Marche e parla bene il polacco (assieme a Roberta di Borello di Cesena), è stata il tramite per arrivare in Italia, Inna racconta che fin dal primo giorno di guerra la sua città, Kharkiv, è stata bombardata. “Pensavamo finisse tutto in poco tempo. Invece dopo quattro giorni trascorsi in un bunker, siamo scappati, prima in auto, poi in treno, fino al confine con la Polonia”. È nel cosiddetto punto di registrazione che le due famiglie si sono incontrate e conosciute. Inna qui ora si sente al sicuro e tramite la traduttrice ringrazia perché finalmente può dormire tranquilla.

“Al ritorno da scuola il 24 febbraio – racconta Tetiana i bambini mi hanno detto: mamma, è iniziata la guerra. Ovviamente non ci ho creduto. Poi ho acceso la tv e ho capito che avevano ragione loro. Anch’io pensavo che nel giro di una o due settimane finisse tutto, ma dopo dieci giorni non ce l’abbiamo più fatta e siamo scappati. Ho una figlia di 16 anni che studiava già in Polonia ed è rimasta là, nei pressi del confine come traduttrice, per aiutare i profughi. Anche una sorella con un figlio minorenne è rimasta in Ucraina, così come la mamma, per motivi di salute. Un’amica che abita a Mariupol vive con due figli nel bunker, ma vuole rimanere”.

Il loro desiderio, anche dopo tutti i ringraziamenti per un’accoglienza che non si sarebbero aspettato, rimane quello di tornare perché, dicono “là è la nostra terra e il nostro paese”.