Tarquinio (Avvenire): “Oggi è difficile ascoltarsi, anche tra giornalisti. Costruire condizioni di pace”

Spes contra spem. Si è appellato a San Paolo il direttore di Avvenire Marco Tarquinio per rispondere alla domanda di Francesco Zanotti, direttore del Corriere Cesenate, su quali siano le parole giuste che un giornalista deve usare per raccontare il buio ai propri lettori.

Si è concluso all’ex Macello a Cesena il corso di formazione professionale promosso dal Corriere Cesenate, dall’ordine dei giornalisti e dall’Ufficio per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale regionale, che ha raccolto l’interesse di una platea attenta e silenziosa, quasi in attesa di trovare qualche risposta sui temi del Covid e della guerra, che i relatori avevano il compito di toccare prendendo spunto dal messaggio di papa Francesco dedicato alla Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 29 maggio dal titolo “Ascoltare con l’orecchio del cuore”.

Ma l’ascolto in questo tempo post crisi finanziaria, post pandemia e ora di guerra, è ciò che ci manca di più. “Siamo in un tempo in cui è difficile ascoltarsi, ognuno fa il suo discorso, e questo avviene specialmente tra i colleghi giornalisti – ha detto il direttore Tarquinio che nell’editoriale dello scorso 3 maggio “Ucraina, guerra più guerra non fa pace”, aveva scritto parole coraggiose e fuori del coro, ispirandosi a quelle del Papa, e che oggi davanti alla platea cesenate si è detto  “stanco, stanco della guerra in questi mesi e di questi anni”. Le guerre sono difficili da raccontare, così come le diseguaglianze, le oppressioni” ha confidato il direttore di Avvenire…  “Ogni giorno mi chiedo se ci riusciamo…ma noi sappiamo che c’è una sola verità, che è Cristo. In questo tempo sbandato in cui si fa fatica a capire chi sta dalla parte delle vittime, prima di tutto bisogna creare le condizioni umane perché finisca questo confronto duro, c’è da organizzare la speranza e la non violenza, che è la scelta di Cristo… Anche noi dobbiamo farlo nel dibattito che animiamo nelle nostre comunità. La logica della guerra è la logica dell’odio, della mortificazione, noi abbiamo la grazia di avere voci alte che ci aiutano a tenere la rotta. Ci stiamo rendendo conto che siamo su una china pericolosissima, bisogna fare largo a chi ci indica la via d’uscita… Vedo un processo che avanza con fatica, ma che dobbiamo sostenere. È quello di un cambiamento di tono nell’opposizione delle nostre opinioni. In questo momento di forte disagio anche nella nostra professione (ndr, nella classifica di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa, l’Italia è scesa al 58esimo posto), l’appello ai giornalisti della stampa cattolica, di cui Avvenire – ha detto Tarquinio – è il fratello maggiore, è quello a un servizio più grande da fare, con pacatezza, senso del bene, senso di comunità. Questo è il nostro compito, ognuno lo fa come sa e può, io lo sento come compito urgente, che comincia dall’ascolto del disorientamento della nostra gente, che non trova nemmeno nella politica le risposte. Bisogna ripartire da qualche parte e costruire condizioni della pace che non si vedono, ma che mancano come il pane”.

Al corso ha portato i suoi saluti il vescovo di Cesena-Sarsina, monsignor Douglas Regattieri che ha invitato i giornalisti a non confondere il “cuore” con il “sentimento” ma a fare il mestiere constatando la realtà oggettiva.

“Oggi ascoltare è ai limiti del rivoluzionario – ha detto quindi il sindaco di Cesena Enzo Lattuca -. Il Corriere Cesenate, che a Cesena ha una diffusione rilevante, spesso coglie temi che trovano risonanza nella gente, e per questo sono costretto a leggerlo. Il vostro giornale rappresenta un punto di riferimento, il terzo polo dell’informazione cartacea cesenate. La sfida di fare un giornale settimanale in un’era in cui le settimane sono periodi lunghissimi e difficilmente i quotidiani tengono i passo della contemporaneità, è quella di dedicare spazio alla riflessione, di cui abbiamo bisogno. Ma c’è anche una sfida più importante – e Avvenire lo fa egregiamente, che è quella di essere giornale di comunità e non essere autoreferenziale. Un punto di riferimento brillante e virtuoso nel panorama dei grandi quotidiani, apprezzato da molti”.

La deontologia del giornalismo ha a che fare moltissimo con il tema della “verità fattuale”, ha quindi sottolineato il neo-presidente dell’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Silvestro Ramunno che ha parlato dell’era della post-verità, in cui il fatto ha perso rilevanza, citando fenomeni come il free speech, da molti accolto come il modo per far emergere la verità dei fatti, che invece sta mostrando le sue debolezze (i talk show fanno emergere la verità?) e il framing, ovvero il modo in cui ci vengono proposti i contenuti condiziona la verità: “ricordate  che il posto migliore dove nascondere un cadavere  è la seconda pagina di Google, perché non la guarda nessuno”. E infine il tema delle fake news, per ricordare che il giornalismo fa esattamente il contrario, perché si occupa dell’accuratezza dell’informazione.  E infine, un passaggio sull’ascolto, con il monito a non trasformarci in tifosi, ma tenere un approccio maturo nel dibattito pubblico. “Non facciamo questo lavoro per noi, lo facciamo per gli altri, per raccontare cose utili, che servono all’opinione pubblica, se non c’è questo, viene meno il senso del giornalismo”.

Appassionato il richiamo del vescovo di Imola monsignor Giovanni Mosciatti, delegato per le comunicazioni sociali della conferenza episcopale dell’Emilia Romagna che ha posto l’accento su responsabilità e diritto di cronaca e sulla necessità di mettere il limite di fronte alla verità e alla persona. “Da quando siamo usciti dalla pandemia rivediamo le trincee e la gente schierata, vax non vax, Putin no Putin, Trump no Trump. Ma la verità della persona si intuisce quando si ascolta con il cuore, che ci permette di uscire dagli schieramenti”.

Un richiamo al dialogo è venuto anche da Guido Mocellin, presente in sostituzione del presidente regionale dell’Ucsi, Matteo Billi, che ha citato il caso un sito ucraino dell’Unione dei giornalisti ortodossi che stanno vivendo sulla loro pelle la drammatica riduzione degli spazi di informazione dopo l’invasione russa.

Cristallino l’intervento di Giulio Donati, consigliere nazionale della Fisc, che ha voluto ricordare l’impegno delle Caritas e delle parrocchie in una forma pragmatica di ascolto come l’accoglienza dei profughi. “Il mio richiamo è all’ascolto dei piccoli, a partire dai piccoli profughi  che ho personalmente visto nelle nostre parrocchie correre in braccio alle mamme, spaventati quando sentono il rumore di un aereo. È l’ascolto che ci chiede papa Francesco con  le sue parole profetiche – ha sottolineato Donati  – quando implora la pace”.

Anche le parole di Daniela Verlicchi, vicedirettore del Corriere Cesenate che da ormai un anno sperimenta la fusione dei tre settimanali cesenati, Corriere Cesenate, che festeggia 110 anni, Il Piccolo di Faenza fondato nel 1899, il più vecchio dei tre, oggi diretto dal più giovane dei direttori, Samuele Marchi, e Il Risveglio di Ravenna fondato nel 1902 e diretto oggi da Verlicchi.  Insieme sotto lo stesso editore, Corriere Cesenate Aps, in una fusione nata prima dall’amministrazione, poi nella ragione sociale, poi il sistema editoriale e la grafica, 8 pagine comuni, 16 di ogni edizione compresa la prima. “Le sfide – ha spiegato Daniela Verlicchi – dei costi  e della concorrenza del web si vincono con la capacità di metterci in discussione. E se i click sul sito aumentano mentre gli abbonati no, non abbandoniamo il cartaceo finché i costi ce lo consentono ma andiamo a conquistare sul web, purché non perdiamo la nostra credibilità che è quella di mettere al centro l’uomo , non solo per deontologia ma perché ci crediamo”.

Da Samuele Marchi invece l’appello ai maestri e al trasferimento delle competenze. La fusione non è stata un ripiego ma una scelta,  ha sottolineato Marchi “soprattutto un investimento in persone e competenze. Ma, dico ai direttori, quando in redazione c’è un giovane mettetevi al suo fianco e insegnategli il mestiere”.

Giovanni Rossi, già presidente dell’ordine dei giornalisti regionale,  è tornato sul tema dei temi, ovvero l’affermarsi del digitale. “Mentre certi autori  immaginano già un’informazione prodotta dagli algoritmi, dove il giornalista rappresenta solo un costo e non una risorsa, l’unica risposta è quella della deontologia e della qualità dell’informazione. Il giornalista deve fare la differenza in senso positivo nella qualità delle notizie riferite. Non è vero, anche se molti lo dicono, che tutti siano informatori. Lo si è se si possiedono tecniche e solide basi deontologiche, una informazione seria e corretta è un diritto fondamentale dei cittadini”.

Alessandro Rondoni, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale regionale si è soffermato sul bisogno dell’uomo di essere ascoltato. “Noi siamo testimoni di questo ascolto, con i microfoni accogliamo i racconti della  gente, li accompagniamo con i dati e gli approfondimenti. L’informazione è un bene, come il cibo, se stiamo attenti a quello che mettiamo nello stomaco, dobbiamo farlo anche per la mente e per il cuore, questa è una forma di autenticità e di responsabilità. È questo il senso della chiesa in uscita, non abbiamo da difendere un’idea preconcetta, né paura del confronto diretto. L’unica attenzione è quella di saper trattare il buio, la fragilità dell’uomo, l’ascolto delle sensazioni”. Accorato l’appello di Rondoni per i giovani e il loro ingresso nelle redazioni “ dove di fronte ad élite super garantite non possiamo dare un euro per investire su chi sta iniziando, e orma neppure più per garantire il percorso per diventare pubblicisti”.

Al termine, Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale Cei delle Comunicazioni sociali, che ha raccolto e donato ai presenti una sintesi e un programma. “Per comunicare – ha detto il direttore – non servono tantissime parole ma le giuste parole. Se è vero che comunicare significa mettere in comune, allora la radice profonda del nostro mestiere sta nella relazione. Se si perde il punto di riferimento rispetto all’ordine, allora si crea una babele come quella in cui stiamo vivendo, in cui regna la confusione dei linguaggi. In questo momento c’è bisogno di un linguaggio purificato. Come farlo? Il Papa nel suo messaggio ci guida ad un metodo, quello dei cinque sensi, l’anno scorso ci ha invitato a guardare, ora ci invita ad ascoltare. Chi dobbiamo ascoltare? Per un settimanale diocesano certamente il territorio. Ma per noi i veri confini non sono quelli geografici ma le persone, l’umanità che ci circonda. Il punto di riferimento è la persona, e il valore del comunicare, ovvero del mettere in comune, è quello della relazione, che non è superata ma risiede nel più profondo dell’essere umani”.

“Se oggi – ha detto infine Corrado – siamo abituati a prestare più attenzione alle notifiche che riceviamo sul cellulare più che al respiro di una persona che abbiamo davanti, il messaggio del Santo Padre quest’anno restituisce anche il senso pieno di ciò che dobbiamo recuperare. La nostra identità.  Siamo custodi di una lunghissima tradizione di giornalismo, settimanali diocesani che esprimono il movimento cattolico. Usciamo dalla comfort zone, rivediamo i nostri schemi, e torniamo alle motivazioni forti che ci spingono ad operare nell’oggi”.

In chiusura il direttore Francesco Zanotti ha ringraziato il lavoro delle redazione dicendo l’obiettivo del lavoro di un giornalista non è  fare bene il proprio mestiere ma  farlo benissimo, perché dietro a un errore o a una notizia imprecisa, c’è sempre una persona.