Il vescovo Douglas al funerale di don Giovanni Zoffoli: “Un pastore con l’odore delle pecore”

“Eccomi, Signore, si compia in me la tua volontà”. Questo versetto del canto finale alla Messa funebre presieduta dal vescovo Douglas Regatteri riassume la vita di don Giovanni Zoffoli, il sacerdote diocesano morto venerdì mattina (cfr pezzo a lato). 

Sul presbiterio ci sono tantissimi preti e diaconi. Accanto a monsignor Regattieri ci sono il vicario generale don Pier Giulio Diaco e il parroco di Santo Stefano, don Alessandro Forte. La chiesa, una delle tante opere realizzate dal sacerdote di cui si celebra il funerale, è gremita di familiari, parenti, amici e conoscenti. Numerosi sono quelli giunti da Bagnarola (Cesenatico) suo paese d’origine e dove si era ritirato da cinque anni, a casa della sorella Maria. 

Il vescovo Douglas fa intendere fin dall’avvio delle celebrazione che di che pasta era fatto questo presbitero. La sua, dice, “è stata una lunga vita spesa per il Signore”. 

Nell’omelia il presule ricorda i familiari e la sorella poi dice di voler riflettere sulla via di don Giovanni. “I suoi sono stati 84 anni spesi per il Regno, per i fratelli, per la comunità a lui affidata, per realizzare opere parrocchiali come questa chiesa”.

“Ha seminato con passione – aggiunge il vescovo – preoccupato solo di portare il Vangelo. E di stare accanto ai malati e a chi era nel bisogno”.

La sua condotta, prosegue monsignor Regattieri, ha seguito un criterio di fondo: “Scendere in terra, odiare la propria vita e servire. Tre verbi come trama dei giorni che il Signore gli ha donato”.

“Scendere nel terreno e morire – spiega il presule -. Scendere per un presbitero potrebbe apparire in contrasto con il ministero che lo porta spesso a stare in alto. Ma scendere deve diventare un habitus che abilita il presbitero ad accettare il suo vivere con umiltà”. Ma con la consapevolezza “che il Signore gli è accanto. Anche se va in una valle oscura, sa che il Signore è con lui. Come abbiamo cantato all’inizio”. Poi riassume il tratto caratteristico del sacerdote defunto, con una definizione cara a papa Francesco: “Un pastore con l’odore delle pecore”.

Sul verbo odiare, il vescovo specifica: “Non significa disprezzare il grande dono ricevuto dalla provvidenza. Piuttosto significa rifuggire da ogni vanagloria. Chi perde la propria vita la ritrova. Chi perde la propria vita, la ritrova”, come si legge nel Vangelo. Don Giovanni ha perso se stesso per ritrovarsi ed essere riconosciuto come padre, guida e maestro”.

Sul verbo servire, il vescovo aggiunge che è la “sintesi del ministero vissuto da don Giovanni. Ha sempre vissuto con autentico spirito di servizio. Con grande disponibilità, si è speso totalmente. Ha svolto il suo ministero nella libertà. Don Giovanni è stato un prete libero. Libero e povero. E povero perché libero. Tutto ha speso di sé, con disarmante umanità”.

Infine un ricordo per la testimonianza resa: “Ti ricorderemo – dice il vescovo come se si rivolgesse a don Giovanni – per quello che sei stato. Un prete buono e una guida sicura perchè credibile”. Testimone credibile, appunto. 

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