Cesena
Andrea Alberti su Enzo Piccinini: “Mi ha insegnato che si può sempre ricominciare”
Durante l’incontro di ieri sera al palazzo del Ridotto (cfr pezzi a fianco) sulla figura del medico e servo di Dio Enzo Piccinini, è intervenuto anche Andrea Alberti, oggi noto odontoiatra in città (foto sotto di Pier Giorgio Marini). Alberti racconta di un episodio durante il quale
Di seguito il testo della sua testimonianza.
Ho frequentato Enzo per pochissimo tempo, circa sei anni. Nonostante questo mi sembra di averlo avuto sempre accanto, da sempre accanto. Questa sensazione è strana e neppure io me la spiego bene ma è così, da sempre. Forse è perché stando con lui, ascoltandolo e litigandoci anche, ho imparato a vivere in un modo diverso e quindi nel resto della mia vita è come se lui ci sia sempre stato, almeno come paragone, come confronto. Quando Widmer mi chiese di scrivere un ricordo di Enzo mi invitò a farlo a proposito di un “famigerato” episodio che ci vide protagonisti ma da avversari.
Ve lo racconterò rapidamente, ma vorrei partire leggendovi un brano del libro che sembra fatto apposta per introdurre quel momento, sembra fatto apposta per spiegare su che ambito della mia vita l’incontro con Enzo abbia inciso maggiormente; il capitolo è il 6°, Vai bene così come sei: “Tutto può essere offerto, a quel punto non puoi più usare il pretesto del tuo limite per tornare alla tua solitudine: questa è falsa umiltà. Non puoi aspettare di essere degno per metterti in moto; l’incontro con Cristo ci libera dal limite, non nel senso che lo cancella ma che lo abbraccia”.
Eravamo a Modena a una cena dopo uno dei soliti calcetti all’ultimo sangue. Ero con il gruppo matricole del mio anno. Non sopportavo quasi nessuno, mi dava fastidio che tutti pendessero dalle labbra di quell’uomo che a me sembrava solo un esaltato. Come dico nel libro era come se in un film la stessa persona facesse, l’attore, il registra, lo scenografo e il costumista. Non rimaneva spazio per nessuno, se non per delle comparse. Mi sentivo soffocare. Mentre a tavola parlavo con un ragazzo poco più grande di me a proposito della mia tesi di maturità (avevo paragonato un verso di Guccini ad uno di Leopardi), lui si intromette e inizia ad inveire contro di me e la stupidissima idea di una tesi così inutile e poco interessante. Ti dovevano bocciare mi disse. Io ascoltai un po’ poi, forte della mi sfrontatezza da diciannovenne gli risposi nei denti; apriti cielo. Se non ci fossero stati degli amici a separarci forse avremmo fatto letteralmente a botte (e non so chi ne avrebbe prese di più…). Dopo quella sfuriata mi cacciò via e io fui ben felice di andarmene. Non lo volli vedere per almeno un anno e non cercai neppure quelli che stavano con lui.
Vai bene così come sei. Leggendo il sesto capitolo ci sono una marea di citazioni di Enzo che fanno vedere come lui fosse conscio del suo temperamento aggressivo e turbolento ma anche di come ci stesse lavorando. A pagina 115 Manlio Gessaroli cita Enzo: “chiunque noi siamo, qualunque cosa abbiamo fatto fino a cinque minuti fa, possiamo ricominciare, ora, adesso, qui”.
Oppure a pag. 129 Widmer racconta di un episodio durante il quale Enzo arrivò a dare uno schiaffo a un responsabile locale del movimento di una certa città umbra per risolvere a suo modo un attrito che si era venuto a creare. Salvo dire a Widmer subito dopo che non era quello il modo di fare, che era tutto sbagliato.
Enzo lavorava sul suo temperamento ma non per diventare più buono, non per poter accedere coi modi giusti a determinati ambienti, non perché un carattere più docile lo avrebbe favorito in qualche modo. No. Enzo lavorava sul suo temperamento e si pentiva spesso di ciò che aveva fatto perché non voleva assolutamente che questo aspetto fosse di ostacolo a qualcuno nel poter incontrare Cristo. Questo gli interessava, che il proprio temperamento non fosse di ostacolo all’incontro col motivo ultimo per cui lui faceva ogni cosa.
Ed ecco come si conclude il mio episodio. Anni dopo, quando già ci eravamo riconciliati e anzi giravo moltissimo con lui per le comunità romagnole e soprattutto a Cesena, improvvisamente morì. Andai a casa piangendo, salutai mio babbo e presi le chiavi della macchina per tornare a Bologna. Mio padre mi fermò e mi disse che Enzo, nel cuore di quella notte in cui litigammo, più o meno alle 2, lo chiamò e gli raccontò tutto. Ma non lo fece per scusarsi del modo, il punto non era la sua aggressività o la mia incazzatura, gli disse proprio così: “mi dispiacerebbe Arturo se questo mio comportamento lo dovesse allontanare dal movimento, dalla nostra esperienza. Non mi farò vivo per un po’, ma gli starò dietro. La litigata di oggi non lo deve allontanare, questo non me lo perdonerei. Non lo mollo”. E così fece non mi mollò, mai.
Ecco perché continuo a confrontarmi con Enzo, perché credo che un libro così sia una grande opportunità di crescita umana e non certo un’operazione di nostalgia, proprio perché nella mia vita Enzo è assolutamente presente: nel modo in cui vivo il mio lavoro, la mia famiglia e anche il rapporto con gli amici. Non ci si deve preoccupare di cambiare se stessi, non bisogna avere paura del proprio temperamento, del proprio limite o di come ci si gioca nelle cose della vita, non si deve aspettare di essere perfetti per incominciare a muoversi, ma bisogna combattere ciò che potrebbe essere d’ostacolo all’incontro con Cristo; allora si che si deve cambiare! Da allora ho sempre pensato che sia una meraviglia essere tutti diversi, ho iniziato a fare pace con me stesso, col mio carattere spesso troppo diretto e brusco ma ho anche imparato a non mollare nessuno e a non aspettare di muovermi solo quando sarò finalmente perfetto. Grazie al rapporto con Enzo prima di persona ed ora attraverso testimoni e testimonianze, ho imparato e continuo a imparare che devo cambiare. È necessario che continui a cambiare ma solo quegli aspetti di me che possono essere d’ostacolo all’incontro con Cristo, perché lui sapeva bene che per il resto, parafrasando il capitolo 6°, andiamo bene così come siamo.