Il vescovo Douglas al funerale di Romano Colozzi: “Un politico che si è lasciato plasmare dalla forza e dalla luce della fede”

Cattedrale gremita di gente questa mattina per il funerale di Romano Colozzi, il noto esponente politico cesenate deceduto due giorni fa (Cfr pezzo in “Leggi anche”).

Tra le diverse personalità presenti si segnalano Roberto Formigoni (ex presidente della Lombardia, Regione che ha inviato il proprio gonfalone), l’ex senatrice Laura Bianconi, i consiglieri comunali Enrico Castagnoli e Marco Casali, Stefano Spinelli e Antonella Celletti, il poeta Davide Rondoni. Per le istituzioni locali, presenti il vicesindaco di Cesena Christian Castorri e il primo cittadino di Sarsina Enrico Cangini.

Sull’altare con il vescovo Douglas Regattieri che presiede l’Eucaristia, ci sono diversi sacerdoti tra cui il parroco di San Bartolo, don Agostino Galassi, e l’assistente ecclesiastico del movimento di Comunione e liberazione, don Stefano Pasolini. 

In avvio di celebrazione il presule  dice di farsi portavoce della Diocesi intera, per il ricordo di Romano, del movimento di Comunione e liberazione e della parrocchia di San Bartolo, nel territorio della quale abitava Colozzi.

Legge le letture il fratello Ivo, docente di sociologia all’università di Bologna. Il ritornello del salmo riassume tutta la celebrazione: “Andiamo con gioia incontro al Signore”. Anche il canto iniziale, “Il disegno” esprime lo stesso concetto: aderire alla chiamata di un Altro, come è stata la vita di Colozzi. Ed essere pronti, come poi descritto dalla pagina del vangelo di Luca al capitolo 12. 

Nell’omelia monsignor Regattieri definisce Colozzi come uno che “nel mondo si è inserito a pieno titolo, immergendosi nella realtà e lasciandosi da essa plasmare, con la luce e la forza della fede. Anche nella dimensione politica”. E la sua passione per la politica gli derivava dalla fede in Cristo-speranza.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia.

***

Lascio a monsignor Ernesto Giorgi il compito di illustrare, al termine di questa santa Messa esequiale, e di ripercorrere la vicenda umana e cristiana di Romano, per le evidenti ragioni della loro frequentazione amicale, intensa e profonda, mentre rinnovo a Ombretta, ai figli e parenti tutti le mie sentite condoglianze. Mi limito a cogliere dalla Parola di Dio proclamata spunti di riflessione che possono servire a noi che siamo ancora in cammino mentre Romano già lo pensiamo giunto alla mèta.

1.    Nell’attesa vigile e desiderata della Sua venuta

“Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 40). “Viene il Figlio dell’uomo”. Per questo Cristo è la nostra speranza; san Paolo non perde occasione nelle sue lettere per ricordacelo. Significativo che il vangelo usi il verbo al presente: “Viene il Figlio dell’uomo”. Non verrà; ma viene. Adesso. Ora. Come un’affermazione apodittica, certa e indiscutibile: Viene.

Se viene è perché lo si desidera. Venuta di Cristo e desiderio si abbinano facilmente. Tutto il Vangelo proclamato è impostato su questo desiderio, che si fa attesa vigilante: “Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze” (Lc 12, 36). Se non ci fosse il desiderio che senso avrebbe la sua venuta? Diventerebbe qualcosa di insignificante, perché appunto non desiderata. Come ha scritto Giussani in una lezione tenuta il 4 novembre 1969: “Cristo non è nostra speranza se non diventa – questa speranza – un giudizio sul mondo. A questo punto, il rapporto tra quella speranza, che si oggettiva nella comunione tra di noi, e il contatto esistenziale, storico con tutta la realtà in cui penetriamo sempre più, questo rapporto fa diventare sempre di più sistema, teoria, posizione culturale completa, complessa e completa, quel giudizio. È una posizione culturale precisa nel suo principio, tanto quanto agile, evolventesi, tutta aperta e spalancata all’esperienza nuova che il condividere esigenze e bisogni provoca” (L. Giussani, Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970), a cura di D. Prosperi, Rizzoli 2024, pp. 158-159).

Da dove e da cosa veniva a Romano da dove e da cosa viene a Romano il suo essere uomo di cultura, se non da Cristo-speranza che si fa vita? Romano era fortemente convinto che il desiderio della Sua venuta era un sentimento fondamentale delle sue giornate; era tutt’altro che un quietismo; esigeva una pazienza, la pazienza cristiana dell’attesa vigile che “non vuole assolutamente avallare nessuna pigrizia” (Giussani, o.c. p. 91); per cui Giussani invitava tutti con provocazione: “Provate a coltivare, a destare, a mobilitarvi in questo sentimento della Sua venuta e poi ditemi se state fermi un momento!” (Giussani, o. c. p. 91). In altre parole la maturità cristiana coincide col desiderio della Sua venuta, del Suo ritorno. Col desiderio del cielo, Romano fu “testimone di una fede attenta alle cose del mondo”, come hanno scritto gli amici di CL.

 

2.   Da Cristo la passione per la politica

Nel mondo Romano si è inserito a pieno titolo, immergendosi nella realtà e lasciandosi da essa plasmare, con la luce e la forza della fede. Anche nella dimensione politica, locale e regionale: convinto della necessità di “una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi (…) una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose” (Fratelli Tutti, 177).

Ci chiediamo: da dove e da cosa viene a Romano la sua passione per la politica se non da Cristo-speranza? Solo questa motivazione ha fatto maturare in lui “un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica. (…) Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona” (Fratelli Tutti, 182), così ha scritto papa Francesco nella Fratelli Tutti. E io penso che ora Romano troverà risposta appagante e definitiva alle domande che sicuramente in questo delicato ambito della vita sociale si è fatto tante volte: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?” (Fratelli Tutti, 197). Sono le domande che papa Francesco ha rivolto a ogni politico.

3.   Maestro, perché testimone

Professore di Lettere classiche al Liceo, insegnante di religione cattolica, cofondatore dell’Istituto Sacro Cuore, ha con instancabile passione perseguito “il desiderio di costruire un luogo dove l’educazione potesse fiorire come spazio di incontro con la verità e con il Mistero di Cristo” (Nota della Scuola Sacro Cuore). Da dove gli veniva questa forza? L’educatore – come si sa – crea una relazione profonda con l’educando. Questi non va riempito solo di nozioni; per questo l’educatore deve essere umile, con una capacità di decentramento che mette al centro l’altro. Se l’educatore resta ancorato a se stesso, in uno sterile egocentrismo, rischia di diventare impositivo e poco rispettoso… L’altro non è una cosa: non può essere ridotto ad un comportamento atteso; l’altro è colui che va accolto prima che educato e solo così potrà fidarsi di chi lo educa” (M. Bombardieri, Che cosa significa e che cosa comporta educare in SdP 440, p. 7): insomma l’altro cerca, sì, i maestri ma li ascolta quando sono anche testimoni.

A te, Romano, proprio per questo il grazie della nostra comunità.

Da sinistra, l’ex presidente della Regione Roberto Formigoni e il vicesindaco di Cesena Christian Castorri. E il vescovo Douglas Regattieri mentre incensa la salma di Romano Colozzi. (Foto Pier Giorgio Marini)

La fotogallery

Di seguito, la galleria fotografica a cura di Pier Giorgio Marini

httpss://www.flickr.com/photos/corrierecesenate/albums/72177720321497827

Resta aggiornato iscrivendoti al canale WhatsApp del Corriere Cesenate. Clicca su questo link