Covid, vaccini e lockdown. Il direttore del “Bufalini”: Siamo tutti in campo. Nessuno è in panchina”

“Se vogliano tornare a ottobre, oggi non bastano due settimane di chiusure”. Lo dice il direttore del presidio ospedaliero di Cesena che comprende l’ospedale “Bufalini”, il “Marconi” di Cesenatico e l’Angioloni di San Piero in Bagno, il dottor Carlo Lusenti (nella foto qui sotto), già assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna. Tradotto: non illudiamoci che possano bastare pochi giorni di lockdown duro, che poi non è quello dello scorso anno quando tutto era chiuso, per poter riavere le libertà che ci siamo concessi la scorsa estate. E non è questione di temperature più alte, altrimenti, ricorda il direttore, “in Brasile, in California o in Messico non ci sarebbe tutta questa diffusione del virus”.

Le nostre priorità, avverte il medico, non potranno essere, in questa difficilissima fase, gli spritz o gli apericena. Non può e non potrà essere così, se vogliamo uscire da questa crisi impegnativa. Si sono verificati dei picchi in corrispondenza delle giornate di Natale e di San Valentino. “Si vede benissimo dai numeri che abbiamo a disposizione”, aggiunge Lusenti.

Nonostante tutto c’è molta gente che nega la gravità di questa pandemia e racconta che le cifre sarebbero gonfiate e che i morti ci sarebbero per altre cause, non per il Covid-19.

Dottore, come si possono contrastare queste affermazioni?

Le rispondo con un fatto storico. Un secolo fa l’epidemia di spagnola fece 50 milioni di morti. Forse pochi sanno perché venne chiamata in quel modo. Era in corso la Prima guerra mondiale. Sui diversi fronti e nelle trincee morivano i ragazzi del ’99. Per tenere alto il morale di chi era sui campi di battaglia e chi era casa ad aspettare che tornassero gli uomini, le nazioni impegnate nella guerra negarono l’epidemia. Solo la Spagna, che era non belligerante, la ammise. Ecco perché fu chiamata spagnola. Con questo le voglio dire che i negazionisti ci sono sempre stati, più per paura che per altro. La paura di affrontare la realtà. Noi stiamo sui dati di realtà. Chi non li vede o non li tocca in prima persona può anche permettersi il lusso di negare.

Che fare, allora?

Adesso la questione è come superare questa grande difficoltà che sta attanagliando in particolare la Pianura padana, con molti malati e molti morti. Non sprechiamo energie con chi non vuole vedere. Indirizziamo le nostre risorse sui problemi reali. Chi non vuole convincersi, non si convinca. Chi poi si imbatte nella malattia, cambia opinione, Il caso del premier britannico Boris Johnson è clamoroso: una virata a 180 gradi. L’esperienza diretta e i fatti incontrati fanno cambiare il giudizio.

Da un anno siamo qui…

La vera questione è proprio questa: come affrontare questa situazione che dura da un anno. Un fatto che ha logorato tutti, anche chi lavora nei servizi sanitari. Un anno fa eravamo sconcertati e impreparati, ma molto reattivi e con tutto il sostegno della gente. Ricordiamo gli applausi, le canzoni dai balconi, gli andrà tutto bene dalle finestre… nel bel mezzo di una situazione drammatica. Poi si è logorato tutto: sia in chi sta in prima linea sia nella tenuta sociale. E questo pesa, anche se adesso abbiamo armi per affrontare l’emergenza e ci siamo attrezzati, ma siamo consumati. Tutto il personale avverte il tessuto sociale logorato. Il contesto generale è più incerto: si dovrà arrivare all’estate? All’autunno? Come andrà la campagna vaccinale? Ci si sente meno sostenuti. Poi, ovviamente, si fa tutto ciò che si deve fare.

Può fare un po’ di numeri?

I numeri non sono quelli dello scorso anno. Nella primavera 2020 abbiamo avuto molti casi, molti ricoveri, molti decessi. Poi si è azzerato quasi tutto grazie a un lockdown durissimo. Non si usciva di casa, ricordiamocelo. Nessuno o quasi andava a lavorare. Il virus ha ripreso a circolare a ottobre/novembre e la salita è stata rapida. È arrivata al massimo e lì, su quei livelli, si è stabilizzata, nel periodo novembre/febbraio. Abbiamo avuto in media 90/100 ricoverati. Da un mese in qua, invece, sono aumentati sia i positivi sia i ricoverati. Da due/tre settimane siamo a più di 150. Prima non eravamo mai stati sopra cento. Questo trend si è registrato in tutta la Romagna e a Bologna. La seconda ondata non si è mai chiusa. Non si è mai scesi con i positivi e i ricoverati.

Un anno molto duro…

Da un anno a questa parte stiamo vivendo con questa pressione. Adesso siamo nella fase più critica, mai vissuta finora. Siamo tutt’altro che in riduzione. Da una settimana (il dato è a venerdì scorso) il numero dei ricoverati si è stabilizzato a 157. Sono numeri molto molto molto (lo ripete tre volte il dottore, ndr) impegnativi per noi. Come può ben capire, per tornare ai nostri ragionamenti iniziali, qua abbiamo da fare con questioni molto più importanti di quelle proposte dai negazionisti.

Come si riesce a lavorare in ospedale sotto questa pressione?

Stiamo mantenendo attivo l’ospedale. Non ci sono stati provvedimenti di chiusura, come avvenne lo scorso anno a livello nazionale. Abbiamo rimodulato l’ospedale, non solo per le urgenze, ma anche per le attività indifferibili. Le faccio alcuni esempi: un intervento oncologico viene salvaguardato. Un altro invece per un’ernia inguinale viene rinviato. In totale il “Bufalini” ha 460 posti letto. Di questi, 160 sono Covid. Si tratta di una enclave enorme dentro l’ospedale.

Come è stato possibile realizzare tutto questo?

Abbiamo ridotto gli altri reparti, oppure i reparti sono stati spostati. Si è trattato di un gioco a incastro, coerente anche con le attività ambulatoriali e dei singoli reparti. Tutta la macchina/ospedale va a ritmo ridotto, ma funziona. Con un’immagine le posso dire che è come un motore che ha un pistone su quattro destinato ad altro. È un equilibrio molto complesso.

Avete personale a sufficienza per questa nuova situazione?

Il personale è aumentato in unità, ma non in maniera proporzionale, e non perché non si è voluto. Sono finiti medici e infermieri. Non c’è n’è più uno solo disponibile, tenuto conto anche della necessità di assicurare personale sanitario da impegnare nella campagna vaccinale. Le crisi mettono in evidenza i punti deboli: nessuno aveva programmato il bisogno di più infermieri e di più medici. Con un’altra immagine, le dico che non c’è nessuno in panchina, in questo momento. Il personale è tutto schierato in campo.

E gli altri due ospedali, di Cesenatico e San Piero in Bagno?

In quei due stabilimenti non ci sono reparti Covid. Abbiamo fatto una scelta: concentrare i pazienti Covid al “Bufalini” e nelle altre strutture gli altri pazienti. Così pure nelle due cliniche convenzionate, la “San Lorenzino” e la “Malatesta Novello”. Al “Bufalini” è rimasta anche la medicina d’urgenza.

Saranno rimasti anche i pazienti con le solite patologie…

Certamente.

Dove vengono ricoverati?

Quelli internistici, non chirurgici, vengono smistati nei quattro presidi che le ho indicato: Cesenatico, San Piero in Bagno e le due cliniche convenzionate. Così la rete riesce a reggere lo sforzo. Con una tenuta di sistema.

E il Pronto soccorso?

C’è pressione, ma è sempre gestibile. Lo scorso anno era molto diminuita. Si era fermato tutto. Non c’erano incidenti stradali e la gente era spaventata e stava lontana dall’ospedale. Siamo riusciti ad aprire, nell’estate scorsa, l’ampliamento del Pronto soccorso. Adesso ne abbiamo uno Covid e uno non Covid, con l’accesso dei tempi normali.

Le Terapie intensive?

Abbiamo avuto un incremento di sei posti, in questo periodo di pandemia. Oggi abbiamo otto ricoverati. I posti letto in totale, nelle tre Terapie intensive, sono 23. Poi ci sono nove posti nella Terapia subintensiva. Abbiamo letti a sufficienza per l’attività ordinaria. Non abbiamo mai mandato pazienti in altri ospedali. Viceversa, ne abbiamo accolti diversi, da Bologna e dall’Emilia.

Come vede il prossimo futuro?

È in ogni caso difficile fare previsioni e immaginare scenari. Se la campagna vaccinale accelera e tiene un ritmo sostenuto in questa primavera e durante l’estate, ci sarà una diminuzione nella circolazione del virus. Dovremo adottare restrizioni anche nel mese di aprile. In questo modo a ottobre potrebbero non risalire i contagi e la pressione sugli ospedali dovrebbe scendere. Il virus non sparirà, ma la situazione sarà gestibile dal punto di vista sanitario.

Quindi, il suo messaggio è?

Dobbiamo tenere duro fino all’autunno. È questione di priorità e di avere comportamenti perseveranti. Non si tratta di gareggiare sui cento metri. Qui stiamo correndo una maratona. Il nostro è uno sforzo prolungato. Dopo i sacrifici non si può pensare subito a un liberi tutti. Ci mangeremmo in breve la zona rossa di adesso. È questione di responsabilità personale e sociale al tempo stesso. Si tratta di una realtà faticosa e dura. Glielo dico con tutte le conseguenze che ciò comporta. Infine le aggiungo: non si può pensare alla gita di Pasquetta. Ne andrebbe di tutti i sacrifici fin qui realizzati.