Cesena
Voglio fare l’astronauta?
In tempi pre Covid i ragazzini sognavano di diventare astronauti, pompieri, maestri e anche parrucchieri. Sogni irrealizzabili o forse no, ma sempre sogni. La pandemia invece li ha tolti alla fonte. I ragazzi non sono più capaci di sognare.
L’analisi, insieme ad un avviso di pericolo, arriva dagli esperti che hanno partecipato alla tavola rotonda “Adolescenti dimenticati tra Covid-19 e Dad” promossa dagli otto Rotary club dell’area Romagna centro lo scorso lunedì sulla piattaforma Zoom. Un appuntamento che ha riscosso l’interesse di quasi 200 partecipanti coinvolti dal Rotary Club Cesenatico Mare insieme ai club di Forlì, Cesena, Forlì-Tre Valli, Valle del Rubicone, Valle del Savio, Cervia-Cesenatico e eClub Romagna.
Al dibattito, moderato da Alessandro Rondoni, sono interventi Marcello Stella, primario della Pediatria dell’ospedale Bufalini di Cesena, Paola Francesconi, psichiatra psicoanalista di scuola Lacaniana di psicoanalisi e Associazione mondiale di psicoanalisi, Gabriele Raimondi, presidente dell’Ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna, Claudio Cancellieri, medico specializzato in malattie infettive, Enrico Sangiorgi, prorettore alla didattica dell’Università di Bologna, Maria Luisa Martinez, assessore all’Istruzione, Edilizia scolastica e Patrimonio della provincia di Ravenna, Lorenza Prati, dirigente scolastico del Liceo scientifico “Augusto Righi” di Cesena e Maria Vittoria Salaroli, studentessa e presidente di Interact Forlì.
Hanno portato un saluto introduttivo Adriano Maestri, governatore del Distretto Rotary 2072, Stefano Spagna Musso, governatore elettro del Distretto Rotary 2072, e Irene d’Elia, presidente Commissione Eventi e progetti Rotary Club Cesenatico Mare.
È stata proprio Irene D’Elia, al timone progettuale dell’incontro, ad aprire i lavori con un dato: in un’età di per sé fragile come l’adolescenza – per la quale da tempo la seconda causa di morte è il suicidio – i ragazzi hanno dovuto vivere il loro ‘risveglio di primavera’ dentro le case, senza l’esperienza dell’incontro dell’altro e senza poter fare il lavoro tipico di un adolescente, uscire di casa e poi rientrare. Con l’aggravante dell’iperconnessione favorita dalla didattica digitale. Un impatto le cui conseguenze sono state l’aumento degli accessi ai pronto soccorso e alle psichiatrie degli ospedali e, negli studi medici, in cui, ha detto D’Elia “vediamo ragazzi con tagli sul corpo per sentire il grido del corpo, forme anoressia per controllare il coro, rifiuto di uscire di casa per nasconderlo…”.
Sottolineando come l’analisi vale uno per uno e ogni ragazzo ha la sua esperienza, la psicologa ha ribadito però che “mai come ora si evidenziata l’importanza della scuola in presenza. La scuola non è didattica. Quella ha sempre continuato, anche in dad. È tutto il resto che non c’è, il contorno di socializzazione, l’incontro con il ‘professore di desiderio’ che può cambiare una vita. In alcuni casi, la scuola può avere una funzione equilibrante. Dove la famiglia zoppica, il contesto esterno aiuta e l’Istituzione genera un ricambio. Se questo salta, è drammatico”.
Un grido che dobbiamo ascoltare, ha commentato Alessandro Rondoni, e recepire, individuando profili di aiuto. “C’è bisogno di una cura educativa. Il bene della relazione è quanto di più caro dobbiamo portare nel mondo del post pandemia”.
Con la sua testimonianza di Marcello Stella, primario della pediatria al Bufalini, ha presentato il supporto dei dati già resi noti al Corriere Cesenate nell’intervista pubblicata sul numero 8 del 25 febbraio scorso. “Se da un lato abbiamo assistito al crollo delle malattie respiratorie, statisticamente abbassato – ha confermato il medico – dall’altro sì è visto l’aumento di patologie derivate dalla mancanza di socializzazione, con percentuali dal doppio a venti volte il valore assoluto del 2019. I sintomi? Dolori addominali, fame d’aria (asma, mancanza ossigeno), prurito, eczemi, disturbi cutanei, alterazioni dell’umore, aggressività verso i genitori ma anche autoriferita. A Cesena, dove ha sede il trauma center della Romagna, dove approda un adolescente che tenta il suicidio e non riesce, si sono registrati 3 tentativi con esiti gravi (defenestrazione) e 12 meno gravi. Con rapporto 1 a 4, sono aumentati i tentativi di taglio e avvelenamento. La pediatria si è trasformata in una una neuropsichiatria infantile, con quadri di patologie depressive e anoressie e dati eclatanti”.
Conferme del dato arrivano anche dalla psicanalisi.
“La Dad – ha detto Paola Francesconi – nata come insegnamento malgrado la distanza, ha il rovescio dell’insegnamento in cui viene a mancare un tipo necessario di distanza. Il contesto familiare si fa sentire con rumori o voci di fondo di tipo domestico, elemento che sostituisce il contesto della classe, con le voci, gli sguardi, e conseguenze di ricaduta non solo fattuale ma simbolica. La dad condensa invece insegnamento e trasmissione (da transmittere, che significa traghettare, condurre oltre la soglia, ad un campo diverso). Ma l’insegnare è vano se non si accompagna ad una transizione che tocchi il desiderio dello studente ad essere accompagnato oltre la soglia”.
Per Gabriele Raimondi, presidente dell’Ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna, l’aumento della fatica psicologica si è tradotto in ansia nelle ragazze e aggressività nei ragazzi e nel passaggio da 1,5 ore al giorno di esposizione ai dispositivi a 7 ore al giorno, con difficoltà a separare i momenti in cui usa la tecnologia per la scuola a quelli in cui si usa per tentare di ricercare la socializzazione. Ma soprattutto, ha rimarcato lo psicologo “il vissuto riportato dai ragazzi nei colloqui è la fatica e nell’immaginare il futuro. I ragazzi non sanno pensare a cosa succederà da grandi, non sanno prefigurare un progetto di vita, al di là del fatto che sia o meno realizzabile”. Allo sportello di ascolto i ragazzi manifestano anche difficoltà di elaborazione del pensiero, bassa motivazione allo studio, mediato da una didattica più mnemonica e meno elaborata e difficoltà di strutturazione del tempo. Almeno il 28 per cento tra i 14 e i 18 anni ha abbandonato la scuola, anche per motivi di gestione dello spazio e della connessione. Da ultimo ma non ultimo, la fatica psicologica che vivono i ragazzi è la stessa che vivono gli insegnanti e lo psicologo, il ruolo di aiuto e di aiutato sono mescolati. Le nostre fatiche ci fanno dimenticare che anche l’altro affronta la stessa fatica”.
Il deciso appello al ritorno alla scuola in presenza si fonda su dati per i quali, ha riferito l’infettivologo Claudio Cancellieri “l’apertura delle scuole non ha fatto l’effetto del volano del contagio. A questo proposito Nature ha riportato la notizia che le scuole non sono hot spot di Covid. In Italia nei primi due mesi e nonostante l’apertura delle scuole sia avvenuta nel momento in cui la curva epidemica stava salendo, la curva si è allineata, e non è stata rilevata una crescita esponenziale”. Un recente lavoro molto ampio che esamina da agosto a fine dicembre in Italia le notifiche dell’Istituto superiore della Sanità consente di essere ancora più tranquilli riguardo all’apertura delle scuole, ha riferito ancora Cancellieri. “Il lavoro dimostra che i primi ambiti di diffusione del virus sono quello familiare, seguito da quello sanitario e lavorativo. A distanza, le scuole. In conclusione: la diffusione del Covid a scuola è limitata per le medie e le inferiori, allineata a quella degli adulti per le superiori e le università. La messa in opera del distanziamento, con mascherine e lavaggio mani e oggetti è il cardine per il contenimento. È rimasto invece aperto il problema del trasporto scolastico”.
Guardando l’università, ha spiegato il pro rettore Enrico Sangiorgi, la prospettiva cambia. “Le difficoltà psicologiche compenetrano anche la comunità dei post adolescenti, ma dalle risposte alle indagini effettuate sulla qualità della didattica, non traspare. Emerge invece soddisfazione nel proseguire il percorso didattico, pur con tutte le difficoltà del caso”. Il Covid ha osservato Enrico Sangiorgi – ha cambiato il volto dell’Università”.
Non dovremo aspettarci per il futuro appartamenti gremiti di studenti e code agli sportelli. Tutto sarà più diluito, con una frequentazione molto inferiore in presenza, un cambiamento epocale dal quale non ci sarà ritorno. Ma che non pare auspicabile per tutti.
La richiesta di ripartire è stata sottoscritta anche da chi opera direttamente sul campo, come Lorenza Prati, dirigente del liceo scientifico “Righi” di Cesena, alle spalle un anno di grandi sforzi, da aggiustare via via “pur di stare vicino agli studenti – ha spiegato la preside -. Non eravamo preparati a una rivoluzione del genere, con tecnologie poco conosciute dagli insegnanti, ma abbiamo sempre avuto la consapevolezza che la scuola in questa fascia d’età è molto importante, dà regolarità e ritmo alle giornate, favorisce relazioni tra i pari ma dà un adulto di riferimento, un bagaglio per la formazione della personalità”.
In chiusura la testimonianza di una diretta interessata, Maria Vittoria, quarta liceo. “Le carenze – ha detto la ragazza – non riguardano l’apprendimento ma la socialità. Noi diciottenni alla soglia della maturità abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per studiare. Alcuni miei compagni si sentono numeri che devono essere assegnati per riempire spazi bianchi sul registro, è aumentata la distanza tra alunno e professore… La ripartenza scolastica è fondamentale. Alla fine ci si salva. Speriamo di rialzarci anche noi”.
Dal 26 aprile le scuole riapriranno al 100 per cento, ma i protocolli – al momento diversi da regione a regione ma c’è in corso un lavoro di omogeneizzazione a livello nazionale – sono talmente rigidi che si rischia il paradosso delle scuole aperte con gli studenti a casa.