Settimana Santa. L’Ultima Cena di Ilario Fioravanti, un sublime dono pasquale ai posteri

Con la Domenica delle Palme, ci siamo addentrati nel periodo dell’anno liturgico che ripercorre gli ultimi eventi della vita di Gesù: la Settimana Santa. Uno dei momenti fondamentali è l’istituzione dell’Eucaristia.

Da poco è stata riportata alla luce l’opera Il Cenacolo di Ilario Fioravanti (25 settembre 1922 – 29 gennaio 2012), formidabile artista cesenate dalle mille sfaccettature (architetto, disegnatore, pittore, scultore e incisore). Nessuno ne era a conoscenza. Nemmeno suo nipote Luca, anch’egli di professione architetto, che nutriva un vago ricordo. Ma la sua tenacia instancabile, unita a diversi sopralluoghi, ha portato alla scoperta dell’affresco su tela. In questa vicenda un ruolo fondamentale è stato ricoperto anche dalle suore della Congregazione Sorelle dell’Immacolata, a Miramare di Rimini, che fin dal 1970 custodiscono il dipinto insieme ad altre opere del maestro romagnolo. Dettaglio non trascurabile è la dimensione della tela che misura quattro metri per due.

Al centro della raffigurazione si trova il tema della cena pasquale, l’ultima consumata da Gesù in compagnia dei discepoli. Come narra il Vangelo di Luca, venuto il momento egli «prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. […] Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”» (Lc 22,14-20).

Dando un’occhiata all’affresco ci si accorgerà, immediatamente, che qualcosa non torna: il banchetto, riportato nella forma dello stibadium – un tavolo circondato da un grande divano, disposto a forma semicircolare e sul quale sono soliti accomodarsi i commensali – è caratterizzato da due elementi simbolici: il calice, e fino a qui siamo in linea con il racconto evangelico, ma al posto del pane troviamo un agnello arrostito. In questo caso il richiamo è all’Antico Testamento, forse al passo profetico di Isaia che recita: «Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7).

In riferimento ai discepoli, va svelato che, per ritrarli, Fioravanti fece posare alcuni dei muratori e degli operai coinvolti nella costruzione del complesso edilizio di Miramare, struttura che doveva accogliere le attività delle suore. Tra i volti dei dodici è ben riconoscibile quello di don Masi, fondatore della Congregazione, che affianca Pietro sulla destra. Il successore di Gesù, nonché primo papa nella storia della Chiesa, è posto al centro della scena ed è intento a mostrare i simboli del sacrificio liturgico all’occhio vigile dell’osservatore.

Il Figlio di Dio apre la disposizione dei tredici personaggi ed è facilmente distinguibile dagli altri grazie al nimbo che ne avvolge il capo. Con la sinistra regge il pane, mentre con la destra compie il gesto benedicente. La particolarità del volto rievoca la modalità ritrattistica tipica di alcune opere di El Greco.

Ammirando questo dipinto, non certo perfetto nella forma quanto originale nell’istantaneità del tratto e nell’essenzialità dei soggetti oltre che dei dettagli riprodotti, la mente rievocherà il parallelismo con il mosaico ravennate dell’Ultima Cena, situato nel registro superiore della parete sud della Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, basilica edificata per volere di Teodorico che fu sovrano degli Ostrogoti e di fede ariana.

Altro elemento caratteristico della tela è la profondità degli sguardi del Cristo e degli apostoli che, uniti, interrogano e invitano lo spettatore a prendere parte al convito pasquale. Come ricordava il nostro vescovo negli orientamenti pastorali Il pane del viandante (2015-2016), incentrati sull’Eucaristia, questo sacramento infonde luce e significato ad ogni cosa. Per mezzo di esso, la comunità si realizza nella solidarietà: “L’Eucaristia ci fa uno, fa comunione, edifica la comunità. L’Eucaristia fa la Chiesa. Trasformati in lui, siamo cementati insieme. La fractio panis, l’antico nome dato all’Eucaristia, esprime bene il concetto: l’unità del corpo ecclesiale è data dall’unico pane spezzato e donato ai fedeli. La fractio panis, permettendo a tutti di partecipare all’unico Pane, favorisce l’unità del corpo. I tanti, prendendo parte all’unico Pane, formano una cosa sola”. E quel Pane, dato non solo per il singolo ma anche per gli altri, fa sì che “noi tutti siamo […] un solo corpo. Un’Eucaristia senza solidarietà con gli altri è – pertanto – un’Eucaristia abusata”.