Cesena
Coronavirus. Un’infermiera del “Bufalini”: “Non siamo stati protetti. Poi quando uno torna a casa si sente solo. Solo con le proprie paure”
È un fiume in piena Francesca Batani. Cesenate e infermiera al “Bufalini” nel reparto Covid, richiamata per l’emergenza in atto. È rappresentante sindacale regionale per la sigla Nursuring up. Per questo incarico gode del distacco del 50 per cento, ma ora lavora a tempo pieno nel reparto diretto dal primario Beniamino Praticò, vista la sua lunga esperienza nel reparto di Medicina.
Il 20 marzo ha portato la sua testimonianza anche su Raiuno, durante uno speciale del Tg1 dal titolo “In trincea”. “I presidi di sicurezza (i famosi dpi – i dispositivi di protezione individuale – di cui si parla tanto dall’inizio della pandemia, ndr) adesso arrivano – precisa subito la Batani parlando del suo cavallo di battaglia – ma ci arrabattiamo per raccattarli ovunque. Siamo in perenne rincorsa. E questo ha significato mettere a repentaglio la salute degli stessi operatori, dei colleghi e dei pazienti”.
“Non ci saremmo tirati indietro di sicuro, ma a noi avrebbero dovuto dire fin da subito che di mascherina c’era quella e quella si poteva usare – aggiunge -. Ma non veniteci a dire che era quella giusta. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha cambiato linea a seconda di quello che si poteva avere a disposizione. Al 23 febbraio, sembra una vita fa, con il primo Dpcm, negli ambulatori si usavano le Ffp2. Furono tutte sequestrate perché non si voleva allarmare la gente. Può creare allarmismo, ci venne detto. E noi: ma siamo sicuri che non sia da creare? A mio avviso i pazienti sarebbero stati tutti da trattare come se fossero stati possibili positivi”.
Invece ci si è comportati diversamente… “È stato creato un percorso apposito per i Covid. E noi ancora a domandare: ma lo sa il paziente sospetto che strada deve intraprendere? – prosegue la Batani -. E venivano nei poliambulatori dove i presidi erano stati portati via. E poi ci venne suggerito: basta la distanza di un metro. Non servono le mascherine. Non ha senso metterle. E noi ancora: e quando si ha il sospetto, che si fa? Vi dovete fidare dell’azienda, ci veniva risposto”.
“Mi ricordo i tempi della Sars – rincara l’infermiera/sindacalista -. Lavoravamo con un protocollo severissimo, con le Ffp3. Perché questa volta non è andata così? Oppure ci siamo detti delle bugie? L’Iss dice che per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) va bene la mascherina chirurgica. Ma l’Oms guarda al mondo. Ha in mente anche i Paesi molto più poveri di noi. Ma siccome di Ffp2 e Ffp3 non ce n’erano, l’Iss ha adottato quella chirurgica, ignorando le indicazioni del Cdc (i Centri per la prevenzione i controlli delle malattie con sede ad Atlanta) e dell’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie). In seguito l’Iss ha rimosso queste linee e ha detto di usare i presidi più protettivi che comunque, ancora oggi, non ci sono per tutti”.
“Abbiamo fatto tamponi con la chirurgica e basta – ricorda l’operatrice sanitaria -. Ora li eseguiamo con la Ffp2, i guanti e lo schermo protettivo. E questo nel giro di poche settimane. Adesso arriva anche materiale non professionale. Al Pronto soccorso sono sguarniti di protezioni adeguate. C’è chi si fa i calzari con i sacchi di immondizia. Ne ho visto uno anche stamattina (ieri per chi legge, ndr)”.
“Ma lo sa che il nostro piano pandemico risale al 2009? – chiede la Batani con una domanda retorica -. La verità è che il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) è bravissimo nel curare, ma non ha la cultura della prevenzione. Aspettiamo i danni e poi interveniamo. Le faccio un esempio: non dobbiamo curare i diabetici, ma dobbiamo prevenire il diabete. La Germania ha un piano pandemico del 2016 e la Spagna del 2006. I risultati di questi giorni parlano da soli. Non abbiamo scorte. Non abbiamo nulla di riserva”. Ma quando a gennaio qualcuno diceva che eravamo pronti… “Ma pronti a cosa? È stato un evento più grande di noi, è evidente. Ma la prevenzione è un altro fatto”.
“Vista la scarsità di materiale – prosegue nella sua denuncia la Batani – si è sguarnita la periferia. È così che sono stati fatti più danni fuori dai contesti Covid, in quelli che avrebbero dovuto essere Covid free e che invece si sono rivelati diffusori di Coronavirus. Se un infermiere si azzardava a usare una Ffp2 veniva ripreso. Incredibile. Avremmo dovuto proteggere tutti pensando a un contesto di contagio e non presumendo il non contagio. Abbiamo fatto il contrario. Poi le istruzioni sono state modificate. I troppi contagiati, anche tra il personale, dimostrano con chiarezza che qualcosa non è funzionato”.
Ma adesso la situazione è migliorata… “Anche questa pandemia finirà – ammette la Batani -. Abbiamo colleghi in rianimazione. Non vengono dal reparto Covid. Vogliamo capire allora che qualcosa non è andato per il verso giusto? Abbiamo lavorato senza protezioni”.
Sì, ma ora? Si va meglio adesso? “Non siamo ancora nella condizione migliore – risponde la sindacalista -. Poi, diciamo la verità, bisogna dire tante grazie alla gente e alle associazioni, per la solidarietà e la generosità. Ci hanno portato di tutto. Se abbiamo qualcosa è grazie a loro. Non abbiamo ancora le cuffie. Non siamo autosufficienti e non abbiamo prodotti ottimali. In una parola: non siamo stati in grado di gestire l’emergenza. Va apprezzata la capacità di reazione di chi lavora in trincea. Il nostro primario, il dottor Praticò, (cfr intervista a fianco, ndr) ci ha sempre raccomandato le Ffp2, anche se era prescritto qualcosa di diverso. Come mai? Mi sarei aspettata che anche la direzione avesse detto lo stesso”.
E gli orari di lavoro? “Si fanno turni allucinanti – dice con schiettezza la Batani – ma con lo stesso stipendio di sempre. Tutti gli operatori in prima linea hanno dimostrato grande professionalità e dedizione. Molti sono arrabbiati perché hanno capito che siamo stati trattati come carne da macello. E i ragazzi delle pulizie? Che si fa per loro che mantengono l’igiene che deve essere assoluto? Per loro niente mascherine. Se uno si azzarda a indossarne una viene ripreso. Ma, allora… dai, veramente”.
Che fare? “Nessuno di noi si tira indietro – conclude l’infermiera – ma abbiamo bisogno di sentirci protetti, sia nei presidi sia in chi ci guida dalla direzione. Ci vogliono umanità e umiltà. Sì, perché poi quando uno torna a casa si sente solo. Solo con le proprie paure”.