Dall'Italia
Rapporto Svimez: economia italiana rallenterà ancora nel 2019, si allarga la forbice tra il Centro-Nord e il Sud
Nel 2018, con un Paese che cresce economicamente sempre meno (o non cresce affatto come nel terzo trimestre dell’anno), torna ad allargarsi la forbice tra il Centro-Nord e il Sud. Nel suo Rapporto su “L’economia e la società del Mezzogiorno” – alla 44ª edizione e con l’aggiunta significativa del termine “società” nel titolo – la Svimez prevede che quest’anno nelle regioni centro-settentrionali il Prodotto interno lordo crescerà dell’1,3 per cento, ma soltanto dello 0,8 per cento in quelle meridionali. Nel 2017 lo scarto era stato minimo, con valori pari rispettivamente a 1,5 per cento e a 1,4 per cento. Il risultato di quest’anno rende ben magra la consolazione che viene dalle previsioni per il 2019, secondo cui il Sud avrà un leggero recupero, risalendo all’1 per cento, mentre il Centro-Nord continuerà a scendere, passando dall’1,3 per cento all’1,1 per cento.
C’è poco da sorridere anche perché tutto questo avviene in un quadro di ulteriore rallentamento della crescita complessiva del Paese. Come la Svimez non ha mancato di ricordare anche nel Rapporto di quest’anno, è illusorio pensare che un parte del Paese possa continuare a crescere mentre l’altra resta al palo: le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali sono indissolubilmente legate anche sul piano economico. Il lieve recupero del Sud, sia pure a livelli nettamente più bassi di quelli del 2017, sembra essere riconducibile in gran parte agli effetti della manovra economica, che nel Meridione avrà un impatto sul Pil dello 0,3 per cento a fronte dello 0,2 per cento nel Centro-Nord.
“Nelle sue linee essenziali – afferma la Svimez – le misure espansive andrebbero a vantaggio del Mezzogiorno. Soprattutto perché le spese per le quali si prevede l’incremento più significativo sono quelle delle prestazioni sociali e dei consumi collettivi, sostenute dal pensionamento anticipato (Quota 100) e dall’avvio del Reddito di cittadinanza”. Si stima che il Sud assorbirà il 63 per cento di quest’ultima misura, peraltro fortemente ridimensionata rispetto alle dichiarazioni di principio, che richiederebbero uno stanziamento di 15 miliardi.
La Svimez, da un lato, valuta positivamente questo maggiore beneficio immediato per le regioni che più pesantemente hanno subito le conseguenze della crisi economica. Dall’altro lato, però, esprime preoccupazione perché allo stesso tempo non viene realizzato quell’incremento degli investimenti che sarebbe necessario per stimolare la crescita dell’economica meridionale.
Il rischio, insomma, è quello di un’operazione di corto respiro e dai profili sostanzialmente assistenzialistici. Questo rischio, nell’analisi della Svimez, si manifesta in modo particolarmente evidente nell’introduzione del Reddito di cittadinanza. Un primo limite dell’operazione “è dato dal fatto che si tratta di una misura esclusivamente monetaria, neanche mitigata da meccanismi di premialità a chi integra il sussidio con redditi da lavoro, come avviene in altri Paesi”.
In secondo luogo, l’efficacia di un sussidio monetario in zone “in cui sono estremamente deboli le strutture pubbliche che offrono servizi al cittadino, dipenderà dal collegamento tra il beneficio economico e la partecipazione di programmi di attivazione e accettazione di offerte di lavoro”, che soprattutto al Sud rischia di non potersi realizzare per le scarse potenzialità dei Centri per l’impiego.
Infine, “solo l’effettiva disponibilità di posti di lavoro nelle aree meridionali può consentire di non trasformare questa misura in assistenziale”. La correzione di rotta proposta è analoga a quella ipotizzata dalla Caritas italiana e dall’insieme dell’Alleanza contro la povertà. “A partire dalle risorse del Reddito di cittadinanza – sostiene la Svimez – è prioritariamente necessario creare un sistema integrato di servizi per le fasce più deboli della popolazione, attraverso interventi mirati volti a contrastare l’abbandono scolastico, a integrare i servizi socio-sanitari oggi carenti, a rafforzare le politiche attive del lavoro migliorando così la qualità della vita, per fare in modo che sussidi economici temporanei possano diventare parte di un progetto di inclusione più ampio”.
Il punto cruciale è che i problemi del nostro Mezzogiorno non si possono ridurre alla dimensione economica. Il Rapporto riassume tutta una serie di dati sul disagio nel Sud che purtroppo ben si conoscono: dal numero dei poveri “assoluti” (e anche dei poveri “relativi”) alla misura eclatante che ha assunto l’abbandono scolastico, dal tasso di occupazione che è ancora due punti sotto quello del 2008 alla perdita costante di popolazione. Proprio quest’ultimo aspetto, secondo la Svimez, è “il nuovo volto del dualismo Nord-Sud”.
È un fenomeno che riguarda tutte le regioni meridionali con la sola eccezione della Sardegna. Il peso demografico del Mezzogiorno è ora pari al 34,2 per cento, anche per una minore incidenza degli stranieri (nel 2017 erano un quinto di quelli presenti al Nord). Negli ultimi sedici anni hanno lasciato il Sud 1 milione e 883 mila residenti, la metà dei quali tra i 15 e i 34 anni. Le proiezioni per i prossimi cinquant’anni vedono il nostro Meridione come l’area più invecchiata d’Italia e una delle più invecchiate della Ue.