“Dalle community alle comunità”. A Forlì i giornalisti riflettono

Si è svolto ieri, venerdì 25 gennaio, presso il salone comunale di Forlì, il convegno regionale dei giornalisti dell’Emilia Romagna, in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, e dei cent’anni dalla fondazione de “Il Momento”, settimanale della diocesi di Forlì-Bertinoro.

Al centro del convegno, con crediti professionali per la formazione dei giornalisti, il messaggio di papa Francesco per la 53esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana

Nei saluti iniziali, il vescovo di Forlì-Bertinoro, monsignor Livio Corazza, il sindaco di Forlì Davide Drei e monsignor Tommaso Ghirelli, delegato regionale per le comunicazioni sociali, hanno declinato il giornalismo come una forma di servizio per la comunità e il bene comune.

Il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Giovanni Rossi, nella sua relazione, ha sottolineato il fatto che il giornalista non deve dimenticare di essere “in servizio permanente”. Per Rossi “il rispetto della deontologia professionale, la trasparenza e il rifiuto dell’anonimato sono le condizioni per la credibilità di cui la categoria ha più che mai bisogno”. I giornalisti non fanno propaganda, ma devono “dare voce a chi non ne ha”. Non devono essere “ripetitori”, pratici del “copia e incolla”, ma devono dimostrare “capacità critica” e “assumersi la responsabilità delle conseguenze” di ciò che scrivono. “Il giornalista silente, che non fa domande – ha sottolineato Rossi – non rispetta la deontologia professionale”.

Don Franco Appi, direttore de Il Momento, ha ricordato la figura del fondatore don Giuseppe Prati (“don Pippo”) evidenziando la continuità nella linea editoriale del giornale. “Il settimanale cattolico – ha detto – non è un quotidiano. Anche se non fresche, le notizie pubblicate sono ragionate”. “Nessun problema del territorio – ha sottolineato Appi – è estraneo al giornale cattolico”, che, dalla sua parte, deve avere la “ricerca costante della verità” e il “discernimento”. 

Per Alessandro Rondoni, direttore dell’Ufficio regionale comunicazioni sociali Ceer, già direttore de “Il Momento”, è importante che il giornalista utilizzi “la testa, non la pancia”. Da qui la necessità di dare spazio alla “narrazione delle storie prima del festival delle opinioni”. I social, per Rondoni, non sono un problema in sé. L’importante è che il giornalista sappia “mediare”, “investire nelle relazioni”, fare rete “fra chi chiede informazione e chi ha i dati”. Nei tempi della “socialitudine” (solitudine da social) la sfida è o cadere nel “narcisismo” o investire nel “riconoscimento dell’altro”. “Anche nel mondo dell’informazione – ha detto Rondoni – dobbiamo fare un po’ di raccolta differenziata”. Nelle redazioni, che per Rondoni sono delle piccole “comunità”, occorre “dire qualche no a ciò che avvelena il vivere comune”, perché – ha concluso – “il compito del giornalista è duplice: formare e informare, non alimentare la confusione”.

Don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale Comunicazioni sociali della Cei, nel suo intervento ha sottolineato l’importanza delle relazioni. “La società – ha detto – vive uno sfilacciamento. Questo fa nascere impotenza, rancore e spinge a chiudersi nella propria cerchia, in un atteggiamento di difesa”. Da qui anche il “narcisismo” dell’informazione nei tempi del web, con la ricerca di notizie a propria immagine e somiglianza. “La buona informazione – ha concluso don Maffeis – ha un costo, ma aiuta a superare l’autoreferenzialità e ad aprirsi all’altro”.

Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, ha lanciato l’allarme: “Oggi ogni forma di mediazione è saltata. L’informazione si è fatta irriflessiva, ansiogena e violenta”. I giornalisti – l’accorato invito ai tanti presenti – devono rifiutarsi di far parte dell’esercito dei “ripetitori acritici” dei poteri forti, per essere invece i “cani da guardia dell’umanità”.