Dall'Italia
Sì del Comitato nazionale di bioetica al farmaco blocca-pubertà. E i cattolici cosa dicono?
Il 23 luglio è stato reso pubblico il parere del Comitato nazionale per la bioetica denominato “In merito alla richiesta di Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sulla eticità dell’uso del farmaco triptorelina (Trp) per il trattamento di adolescenti con disforia di genere (Dg)”. Da molti definito il farmaco del gender, la Trp blocca lo sviluppo della pubertà e viene somministrato, su discrezione del medico curante, dove sia diagnosticata una disforia di genere. L’apertura favorevole sull’utilizzo del farmaco contenuta nel documento ha sollevato numerose polemiche, vista la delicatezza del tema e le sue ripercussioni mediche e sociali. Finalità del documento era elaborare “un parere sulla eticità dell’uso del farmaco” come si evince nel testo pubblicato da Cnb. Eppure valutazioni etiche e morali, che potessero approfondire il dibattito della trattazione, non hanno trovato sede nel documento.
E sì che lo spazio non sarebbe mancato, se non altro per la riscontrata penuria di letteratura scientifica a riguardo, come emerso anche in alcuni pareri di esperti esterni. Sorprende dunque la concisa lunghezza del testo licenziato dal Cnb, che esplicitamente non vuole “entrare nel merito della ricostruzione storico-sociologica e della discussione filosofica del gender” (ma allora il Comitato di bioetica che ci sta a fare?), in cui sono contenute alcune raccomandazioni ispirate al principio di cautela, ma che si mostra tuttavia possibilista sull’attuazione di “una politica di accesso equo e omogeneo sul piano nazionale alla triptorelina, al fine di garantire una uguaglianza distributiva”.
Unica voce fuori dal coro all’interno del Comitato è stata quella della dottoressa Assuntina Morresi, che, nella postilla inserita a fine documento, ha fatto emergere le non poche perplessità scientifiche circa l’utilizzo medico del farmaco, oltre che a richiamare l’assemblea anche ad una ampia ed approfondita valutazione etica per la sua somministrazione. Nel testo secondo la Morresi non viene esplicitato alcun “filtro adeguato per la selezione dei casi e d’altra parte non può essere diversamente, considerata la mancanza di dati scientifici in base ai quali selezionare i casi suddetti”. Una chiarezza scientifica che sembra assente anche nel conferire al trattamento con Trp un percorso elettivo per le situazioni di disforia di genere.
Inoltre “secondo la letteratura dedicata, questo uso della Trp porta a un limbo in cui (i pazienti) possono esplorare il proprio genere senza lo stress di sviluppare un corpo in cui si percepiscono come alieni” lasciandoli dunque ad uno stato neutrale di prima pubertà. Viene dunque da chiedersi se sia possibile intraprendere un percorso di consapevolezza della propria identità, che può durare per più anni, vivendo uno stato di “individuo neutro”. Un ulteriore punto di incertezza verte su un assunto che sembra ormai scontato, cioè che “la Dg viene presentata spesso come “sentirsi in un corpo sbagliato”, ipotizzando quindi corretta la percezione di sé, della propria identità di genere: l’uso della Trp lavora su questa ipotesi”. E se l’ipotesi fosse sbagliata? “Va esclusa la possibilità inversa, cioè che è la percezione di sé ad essere inadeguata: va escluso cioè che alla base ci sia un problema più vasto o diverso, riguardante la propria identità, mentre il corpo è giusto”. Aggiungiamo infine un altro interrogativo: come mai l’efficacia delle obiezioni di postilla inserite dalla dottoressa Morresi, non hanno trovato la sottoscrizione di altre autorevoli firme del mondo cattolico presenti nel Comitato?