Dall'Italia
A un mese dall’alluvione in Emilia-Romagna, è il momento di pensare alla ripresa
A un mese dall’alluvione, l’emergenza è passata. Faenza è diventata la città simbolo di questo disastro che ha interessato quasi tutta la Romagna fino a lambire la provincia di Bologna, nel territorio di Imola. Giovedì una delegazione di sindaci guidata dal presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini è stata ricevuta a palazzo Chigi. La conta dei danni, ancora in stime, è enorme. Si parla di quasi nove miliardi di euro.
L’evento ha riguardato un’area tanto vasta, forse come mai si era verificato. Si va dalla valle del Rubicone, al confine tra Rimini e Cesena, fino al bolognese, risalendo lungo la via Emilia. Prima è arrivata l’ondata d’acqua, enorme, sulle città, sulle campagne. Poi si è spostata nella piana, seguendo il corso dei fiumi. A rischio è stata anche Ravenna, città con tanti monumenti Unesco, risparmiata da un concorso di fattori e di interventi umani che l’hanno salvata dall’inondazione.
I momenti drammatici, da quel 16 maggio, seguito alla precedente alluvione del 2 maggio a Faenza, si sono susseguiti a ondate successive, in un succedersi di allarmi che sono durati giorni.
Le frane, in un primo momento sottovalutate, ora costituiscono un pensiero costante per chi si appresta ai lavori di ripristino. Il costo in vite umane è stato alto (17 le vittime) con i numeri del disastro che sono altissimi. Nella sola Faenza 70 abitazioni saranno da abbattere. Nelle campagne 100 mila ettari di terreno sono stati invasi da uno strato di limo e sabbia che ora, dice la Coldiretti regionale, costituisce una crosta impermeabile che renderà complicate le colture per i prossimi anni. A rischio ci sono 25 mila ettari coltivati a frutteto e 60 mila a grano duro, grano tenero, mais e orzo. Senza contare le aziende in difficoltà per gli allagamenti e la difficile ripresa dopo il passaggio della furia dell’acqua.
La solidarietà è stato il motore che ha rimesso in attività questi territori e la gente che li abita. Nessuno si è mai perso d’animo, nemmeno per un secondo. I giovani giunti a migliaia prima di tutto a Cesena e poi nelle altre città hanno infuso fiducia e hanno fatto intendere che qua nessuno sarebbe mai stato lasciato da solo. E così finora è stato. Anche le istituzioni hanno fatto la loro parte: comuni, province e Regione sono stati in primissima linea con le prefetture e la struttura di Protezione civile. Governo, Unione Europea e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno fatto sentire la vicinanza con la presenza nei luoghi può devastati.
Ora è il momento di pensare alla ripresa. Le attività che operano sulla costa adriatica sono pronte ad accogliere i turisti che da decenni affollano hotel e stabilimenti balneari, in località note in tutto il mondo. Ci sarà da mettere mano a nuove opere idrauliche in modo che possano mettere in sicurezza aree che nei secoli sono state strappate alla palude. Argini, letti e golene dei fiumi, invasi, reticolo di canali e fossi: c’è tutto un sistema da ripensare e che riguarda intere vallate fino al mare.
In ampie zone di collina il territorio ha mutato la sua conformazione per le migliaia di frane attive. Certe strade sono state spazzate vie e non potranno essere ripristinate dove si trovavano in precedenza. Decine e decine di famiglie hanno dovuto abbandonare, a malincuore, le loro abitazioni, dove avevano deciso di rimanere o di ritornare. La collina e la montagna, lo si è scoperto anche in questa occasione, non può essere abbandonata. Va salvaguardata e rispettata. Gli eventi meteorologici di oggi sono di una violenza sconosciuta fino a qualche anno fa. Per questo ci si deve attrezzare, consci che l’ambiente va rispettato come casa propria, come la casa comune che tutti siamo chiamati ad abitare e custodire.