Codice di Camaldoli: cardinale Zuppi (Cei), “infiacchimento della democrazia è sempre un cattivo presagio per la pace”

“L’infiacchimento della democrazia è sempre un cattivo presagio per la pace”. È il monito lanciato dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nella prolusione al convegno sugli 80 anni del Codice di Camaldoli. “La visione di Camaldoli aiutò a preparare quell’inchiostro con cui venne scritta la Costituzione, frutto di idealità ma anche di capacità di confronto, visione, consapevolezza dei valori della persona, la giustizia e la libertà. È requisito indispensabile – ha precisato il cardinale – quando si pensa di toccarne il testo e, aggiungo, per impostare un piano che sia nazionale e di vera resistenza e resilienza”.

Quindi il presidente dalla Cei si è soffermato sulla guerra, che “opera sempre distruzioni profonde, non solo materiali ma morali, azzerando ogni patrimonio di relazioni stabili, di regole condivise, di fiducia reciproca”: “Papa Francesco, mentre chiede la pace presto, opera per preparare un ‘dopo’ senza la guerra. Se vuoi la pace prepara la pace! Significa promuovere una visione che attragga verso un mondo differente e che mobiliti passioni e energie per costruirlo, ma anche organismi e modalità in grado di mantenerla”.

“Non c’è cura della casa comune se non impariamo a riconoscerci e a trattarci da Fratelli tutti. Finiremmo per distruggerla e per distruggerci. Bisogna risvegliare gli sguardi e le menti, per superare il ‘circolo vizioso’ per cui tutto diventa impossibile”, ha avvertito il cardinale Zuppi, ricordando che “non si può parlare di pace senza parlare della giustizia”.

“Il Codice nacque in uno dei momenti più bui della lunga notte della guerra. Dobbiamo constatare che la pace non è mai un bene perpetuo neanche in Europa. Questa consapevolezza dovrebbe muoverci a responsabilità e decisioni!”, ha aggiunto il porporato. Tra mito e storia una vicenda ricolma di futuro a ottant’anni dal convegno del luglio 1943” in corso al Monastero di Camaldoli. Anche allora, ha ricordato il cardinale, “c’era un Papa che – come oggi Francesco – parlava senza sosta di pace: Pio XII. Perché la posizione dei papi del Novecento – tutti – è farsi carico del dolore della guerra, cercando in tutti i modi vie di pace, curando le ferite dell’umanità e favorendo la soluzione dei problemi. Pio XII credeva nella pace e si pose con forza il problema del ‘dopo’: ricostruire la società e l’ordine internazionale”.

“La presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura”, ha aggiunto il cardinale Zuppi: “Uno dei problemi di oggi è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati. Dovremmo diffidare di una politica così, ma spesso ne finiamo vittime, presi dall’inganno dell’agonismo digitale che non significa affatto capacità, conoscenza dei problemi, soluzione di questi”.

“Oggi la democrazia appare infragilita e in ritirata nel mondo. Ecco un campo cui i cristiani devono applicarsi, interrogandosi su come deve essere la democrazia nel XXI secolo, vivere quell’amore politico senza il quale la politica si trasforma o si degenera. Bisogna mettere a fuoco attorno a questa emergenza così decisiva, esperienze, tradizioni, visioni, idee, risorse reali, anche se disperse. In questa prospettiva, sarebbe importante una Camaldoli europea, con partecipanti da tutt’Europa, per parlare di democrazia e Europa”, ha proseguito l’arcivescovo di Bologna.

Per il cardinale, “sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide”.

“C’è chi chiede alla Chiesa di promuovere o favorire incontri, riflessioni tra cattolici su temi civili. Non mancano occasioni e questioni. Capisco l’esigenza e sono disponibile ad aiutare iniziative di questo tipo – ha precisato il presidente della Cei – proprio perché senza interessi immediati, personalistici o di categoria. I credenti devono avere il coraggio, nel rispetto delle diverse sensibilità, di interrogarsi dialogando e ascoltandosi, che vuol dire ispirarsi al Vangelo nella costruzione della comunità umana”.