Benedetta Lucarelli, la più giovane donna guida alpina è ravennate: “La montagna ci parla”

Lei è la più giovane donna in Italia che fa la guida alpina. Ma non ci tiene più di tanto a sottolinearlo, anche perché di donne che svolgono quel mestiere così particolare sono solo 28, mentre gli uomini sono 1200. Stiamo parlando di Benedetta Lucarelli, originaria di Ravenna. Classe 1998, vive a Mazzin, in Val di Fassa (Trento) dove ha trovato una seconda casa da quando aveva poco più di 14 anni.

Dopo la terza media Benedetta decide, d’accordo con la famiglia, di trasferirsi a Tione (Trento) dove frequenta, dal 2012, il liceo della montagna. «È un liceo scientifico, unico in Italia – Benedetta spiega al telefono dopo una giornata trascorsa ad accompagnare clienti su una ferrata nella zona del passo Falzarego – con il quale si ha l’opportunità di specializzarsi in una disciplina sciistica. Si può diventare maestri di sci e accompagnatori di media montagna. Io, dopo l’esame di maturità, ho sostenuto subito i due esami, uno a ottobre e l’altro a novembre. E così ho iniziato anche il percorso da guida alpina che ho completato ad aprile scorso».

La passione per la montagna in Benedetta nasce molto presto. Ha soli tre anni quando si cimenta per la prima volta con l’arrampicata, l’attività che ancora oggi le piace di più. Il merito è di una guida alpina, Luca Prinoth, che lei cita con grande senso di gratitudine. I genitori avevano una casa in val di Fassa e avevano iniziato ad apprezzare molto presto, grazie ai campi- scuola, la passione per le cime delle Dolomiti. Per la figlia piccola è amore al primo approccio. Da allora Benedetta ha avuto un solo obiettivo: quello di diventare guida alpina e di potersi dedicare a tempo pieno alla montagna.

«Mi piaceva – spiega con semplicità, come se fosse la faccenda più normale del mondo -. Mi dava soddisfazione salire sulla roccia. Mi sentivo bene, mi sentivo felice. Così ho deciso di seguire questo amore. D’altronde, seguire le proprie passioni dovrebbe essere abbastanza naturale per i giovani. Luca, che mi fece arrampicare per la prima volta nel 2008 sul gruppo del Sella, per me è stato un esempio: la sua passione e la sua umiltà sono state per me decisive».

Oggi Benedetta si divide fra ferrate, arrampicate e corsi. In autunno e in primavera si sposta sul lago di Garda. In inverno fa la maestra di snowbord.

Nel frattempo, ma lo dice quasi per inciso, ha avuto il tempo di laurearsi (corso triennale) anche in Filosofia, all’Università di Bologna, «ma senza poter frequentare », aggiunge.

«Non perdo tempo – dice con una semplicità quasi disarmante per una 24enne -. Mi piace tenermi occupata. Sono una irrequieta. Domani andrò sul Sassolungo, su una nuova ferrata, con alcuni clienti. Poi nel pomeriggio, probabilmente proverò lì in zona qualche via, con amici».

Nessuno obietta nel vedere una guida donna e per giunta molto giovane? «Pochi ci fanno caso – risponde Benedetta -. Di solito mi firmo come Benny e solo quando mi vedono i clienti scoprono chi sono. Tanti poi, quando siamo in escursione, mi fanno domande, per la curiosità di sapere di me, di come è nata questa passione».

In cima, quali pensieri ti vengono? «Quando arrivo in vetta sono contenta. Ho preparato la via, ci ho pensato, ho faticato, poi arrivo lassù. Sono felice. In seguito, però, subito penso: cosa facciamo domani? Fino a qualche tempo fa magari ero anche appagata, ma adesso voglio sempre di più. La montagna è fatta così, ti entra dentro».

Ma la montagna cambia anche molto in fretta. Abbiamo visto quello che è successo sulla Marmolada… «A metà luglio ero in zona Ortles, vicino alla nord. Adesso lì non ci si va. Anche la via normale sull’Ortles è diventata molto più difficile rispetto a 20 o 30 anni fa. Ma in certi posti gli alpinisti sanno se poter andare o no. La montagna ci parla. Noi la osserviamo e la valutiamo. I divieti non servono. Ero sulla Marmolada tre giorni prima del disastro. Non me lo sarei mai aspettato quello che poi è accaduto. Comunque oggi, in certi posti non si sale più. La tendenza è questa: i ghiacciai soffrono. Sta a noi interpretare quello che la montagna decide. Se si deve dire di no, è un no. Non si va solo perché si è già deciso. Non funziona così. Non è semplice, ma si cerca sempre di valutare al meglio tutte le situazioni».