Approvato il decreto legge per la gestione dei flussi migratori

Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri è intitolato “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori e la semplificazione procedimentale in materia di immigrazione”. In realtà si tratta in tutta evidenza di un intervento sulle modalità di azione delle ong impegnate nel soccorso ai migranti. Questo è il baricentro del provvedimento. Bisognerà attendere la promulgazione e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per avere un testo certo e definito. Nel comunicato di Palazzo Chigi si afferma che “le disposizioni mirano a contemperare l’esigenza di assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare” con quella di “tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica”. Secondo le ong, invece, il decreto è funzionale a rendere sempre più difficili le operazioni di soccorso, soprattutto attraverso l’indicazione di approdi sempre più lontani dal luogo dei salvataggi così da tenere a lungo fuori campo le imbarcazioni impegnata nei soccorsi, come peraltro sta già in parte avvenendo.

Il provvedimento stabilisce che “il transito e la sosta sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo”. Le operazioni di soccorso devono essere immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per l’area in cui si svolge l’intervento e allo Stato di bandiera della nave. Con il decreto, peraltro, si richiede che le imbarcazioni delle ong utilizzate in modo non occasionale rispondano a “requisiti di idoneità tecnico-nautica” per la navigazione nelle acque territoriali. In caso di intervento esse devono raggiungere “senza ritardo” il porto di sbarco assegnato dalle autorità competenti (il che rappresenta un oggettivo ostacolo ai soccorsi multipli, che pure non sono esplicitamente vietati). I responsabili devono inoltre fornire “le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata delle fasi dell’operazione”.

In caso di violazioni viene applicata al comandante della nave una sanzione amministrativa da 10 mila a 50 mila euro, con responsabilità solidale dell’armatore e del proprietario dell’imbarcazione, a cui si aggiunge la sanzione accessoria del fermo di due mesi della stessa, contro cui è ammesso ricorso al prefetto che deve decidere entro 20 giorni. In caso di recidiva scatta la confisca del mezzo. Un’ulteriore sanzione da 2 mila a 10 mila euro, con fermo amministrativo di 20 giorni, viene comminata al comandante o all’armatore che non forniscano le informazioni richieste dalle autorità.

Il comunicato di Palazzo Chigi sottolinea la scelta “a favore di un sistema sanzionatorio di natura amministrativa in sostituzione del vigente sistema di natura penale” e rivendica la conformità delle norme “alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 1982”.