Dall'Italia
Dopo il carcere, il riscatto. La storia di Donatella Marchese, imprenditrice ravennate: “La forza devi trovarla dentro”
“Ero un’imprenditrice e ora sono tornata a esserlo”. Nel mezzo, per Donatella Marchese, imprenditrice nel settore della telefonia mobile a Ravenna, la drammatica esperienza del carcere che ha raccontato giovedì pomeriggio al convegno “Donne e carcere. Il lavoro come riscatto” al Museo della città di Rimini nell’ambito della mostra del fotoreporter ravennate Giampiero Corelli “Domani faccio la brava. Donne e madri nelle carceri italiane”.
Donatella è stata detenuta per 14 mesi prima nel carcere di Forlì e poi in quello di Bologna. “Quando mi hanno arrestato non lo immaginavo nemmeno – ha spiegato -. Avevo una famiglia, una serie di negozi. Mi vedevo molto lontana dalle persone che avevo attorno. Ma poi mi sono trovata a pensare a quanto avevo in comune con loro”.
“Sono finita lì – ha aggiunto Donatella – perché ero succube dell’uomo che amavo e che mi ha coinvolto in una truffa, a mia insaputa. Era una violenza non fisica, ma psicologica. E tante delle donne che incontravo in carcere avevano una storia simile: di violenza, alla quale hanno reagito. Non le giustifico, ma le capisco”.
Come se ne esce? Come ci si riscatta da un’esperienza simile? In quei 14 mesi, racconta a margine, Donatella ha perso 30 chili ed è stata costretta a vendere casa per pagare avvocati e spese processuali. “La forza la devi trovare dentro di te – ha proseguito -. La mia famiglia non mi ha mai abbandonato un istante. Devi avere qualcuno che ti aiuta, ma se non trovi quella forza, non si riesce a riemergere”.
Tutto il convegno è stato un momento di confronto sulle possibilità di riscatto attraverso il lavoro e la formazione, con donne del mondo delle istituzioni, del sistema carcerario, del terzo settore che hanno parlato della loro esperienza, moderate dal direttore del Corriere Cesenate, Francesco Zanotti. Il riscatto spesso è un terno al lotto, ha spiegato durante il dibattito, Francesco Lo Piccolo, direttore del periodico “Voci di Dentro”: “Il carcere è un posto da chiudere – ha detto – e le donne stanno peggio, perché hanno commesso reati per i maschi. Le donne perdono il fatto di essere mamme, mogli, figli. Il contatto di un’ora a settimana, quattro al mese, è poco o niente. La domanda si pone quando parliamo di carcere: siamo quello che siamo o quello che facciamo? Dietro a quei delitti ci sono persone: vanno rammendati quegli strappi. Ci sono donne che hanno dovuto partorire in carcere, da sole. I magistrati di sorveglianza sono 200/300 in tutt’Italia per 60.000 detenuti”.
La situazione carceraria, ha controbattuto Palma Mercurio, direttrice della casa circondariale di Rimini, “dipende anche dalle risorse che abbiamo. E ci sono molti percorsi con educatori che danno l’anima in carcere”. Suicidi e lunghezza della giustizia: questi i principali nodi da risolvere per la Mercurio: “C’è gente che è va in carcere a 20 anni dal reato commesso”.
“Penso che il carcere sia un mondo di regole e incoerenze, come fuori – ha aggiunto Viola Carando della Caritas di Rimini –. Occorre tirar fuori il meglio di una persona, perché c’è. È un discorso di responsabilità personale”.
“Corelli è un fotografo che è entrato in carcere, mettendosi alla pari, vicino, alle detenute – ha detto la vicesindaca e assessora alle Pari opportunità del Comune di Rimini Chiara Bellini –. E queste donne si sono lasciate raccontare dalle foto di Giampiero”.
“Il nostro è un movimento di donne imprenditrici – ha aggiunto la presidente di Donna Impresa Confartigianato Rimini Cristina Vizzini -. Ci rendiamo conto che queste donne hanno bisogno di un riscatto per tornare a essere parte integrante della società che le ha punite. E vogliamo aiutarle”.
“Le donne hanno sempre uno svantaggio in più, anche se più forza – ha commentato la presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emma Petitti – e da queste foto si coglie perfettamente”.
Resta aggiornato iscrivendoti al canale WhatsApp del Corriere Cesenate. Clicca su questo link