L’intelligenza artificiale ha introdotto nella scrittura il semi-lavorato: “Il processo giornalistico può cambiare”. Ma non sparire

“Ci sono scelte da fare”. Una sfida educativa da giocarsi. L’Intelligenza artificiale pone anche queste domande e ai giornalisti (e non solo), spiega don Davide Imeneo, direttore dell’Avvenire di Calabria e inventore di Social mentor Gpt, una “console” di applicazione per l’uso dell’Intelligenza artificiale nel giornalismo. Il suo intervento al corso di formazione organizzato dall’Ucsi Emilia-Romagna con l’Ordine dei giornalisti “Intelligenza artificiale, il pensiero, i linguaggio”, che si è tenuto giovedì 24 ottobre al Palazzo della cooperazione a Bologna ha destato interesse per una serie di i dilazioni pratiche sull’Ia applicata al giornalismo.

“Che ne sarà di noi? C’è l’idea che l’IA ci sostituirà – dice don Imeneo – ma si tratta di reti basati sulla replica i processi neurali. E la nostra mente non è fatta solo di questo ma di Es e superIo che guidano le nostre scelte. Siamo chiamati ad assumere delle scelte che ci permettano di governare il processo e non subire gli effetti. E questo può avvenire se ho un metodo”.

No, quindi allo “spray and pray”, lo “sparare nel mucchio” con l’intelligenza artificiale che ci rende un po’ dei “criceti sulla ruota”. “Il tuo pubblico non percepisce la qualità del lavoro che fai – assicura don Davide – L’IA può allora essere un modo per distribuire contenuti e farli arrivare alle persone che ti seguono”.

Il rischio, altrimenti, dice il direttore dell’Avvenire di Calabria è “perdere non a memoria ma la consapevolezza e delegare i compiti all’IA. La formazione è fondamentale”.

Perché l’Ia va studiata prima di essere usata. Un esempio: l’intelligenza artificiale, spiega don Davide, produce testi in base a un calcolo di probabilità. “E questo può creare problemi. Nel nostro caso il nostro vescovo è presidente della Conferenza episcopale calabra, la Cec. Ma è molto più conosciuta la Cei. E così il nostro vescovo, con le applicazioni Gpt, diventa automaticamente il presidente della Cei. Occorre vigilare. L’IA ha introdotto nel giornalismo il semi-lavorato. Da esso il processo giornalistico può cambiare”. Ma non sparire.

Con la Ia si possono correggere gli errori di battitura e grammatica di articoli già fatti, riassume, ottimizzarli per i web, generale bozze di condivisione per i social. Social mentor Gpt, la console di app inventate da l’Avvenire di Calabra con dei ragazzi delle scuole medie nell’ambito di un progetto del settimanale diocesanoserve a questo: con in link ad un articolo si generano, tra le altre cose, bozze per distribuire contenuti sui social network”.

Whisper, capcut, Elevenlabs o adobe podcast, Chap cpt, Post social catgut. Perplexity, Ideogram: sono solo alcune delle app che permetto di generare con l’Ia. L’importante è “non diventare schiavo del proprio modello”.

“L’Intelligenza artificiale non risolve problemi mal definiti – spiega Maria Elisabetta Gandolfi, caporedattore de Il Regno e consigliere nazionale dell’Ucsi -. Quindi occorre un pensiero computazionale, ci costringe ad avere un metodo”. Nei suoi “consigli possibili per l’uso in redazione”, ha proposto strumenti pratici di uso dell’Ia per la rassegna stampa (Feedly), per la traduzione (Deeple) e la sbobinatura (Turboscribe) e per la diffusione e le newsletter. Un corso (gratuito) per imparare qualcosa di più sull’Intelligenza artificiale è il Progetto Polis della London school of Economics in collaborazione con Google, consiglia, e una newsletter con la quale restare aggiornati è “Ellisse” di Valerio Bassan. In generale, spiega Gandolfi, può essere un utile strumento non solo rivoluzionare il proprio modo di fare giornalismo ma anche solo per ottimizzarlo. Il motore del cambiamento può essere quello descritto nel Manifesto per il giornalismo responsabile: aggiungere alle famose “cinque w” le cinque “m”, cioè “more”: più umanità, tempo, fonti, diritti, linguaggi. 

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