Aree interne. Monsignor Accrocca: “La morte di una parte del territorio costituisce un danno serio per tutto il Paese”

Era il 13 maggio 2019, quando i vescovi della metropolia di Benevento, presentando il documento “Mezzanotte del Mezzogiorno?”, “rifiutando di aderire alla rassegnazione, come se i giochi, ormai, fossero fatti e l’unica possibilità rimasta fosse quella di un accanimento terapeutico per ritardare, quanto più possibile, la morte dei propri territori”, “esortavano ad agire non in maniera disorganica o, ancor peggio, scomposta, ma con una progettualità profetica”, con “un progetto strategico di lunga gittata che miri a privilegiare l’interesse comune, il quale solo può consentire il benessere di tutti, singole persone come enti locali”. Mercoledì 25 agosto, in una conferenza stampa, introdotta da don Maurizio Sperandeo, presso la curia di Benevento, lo ha ricordato l’arcivescovo Felice Accrocca, presentando l’Incontro dei vescovi delle “aree interne”, in programma il 30 e il 31 agosto, presso il Centro “La pace”, nel capoluogo sannita. L’evento, promosso da monsignor Accrocca, a cui prenderanno parte più di venti vescovi provenienti dalle diocesi di Piemonte, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, vuole avviare un confronto comune per elaborare un piano di rilancio pastorale delle “aree interne” del Paese, che sempre più si trovano a fare i conti con l’emarginazione, lo spopolamento e la crisi economica.

L’arcivescovo di Benevento ha ricordato anche le altre tappe che hanno portato all’iniziativa di fine agosto: innanzitutto, il primo Forum degli amministratori campani (24-26 giugno 2019) e la lettera del Papa a monsignor Accrocca (12 giugno 2019) in cui il Pontefice aveva, tra l’altro, affermato: “La condizione precaria delle fasce più deboli della società richiede da parte di tutti – istituzioni, comunità ecclesiali, realtà educative ed assistenziali – un costante sforzo per chinarsi sulle difficoltà e le sofferenze di tanti nostri fratelli e sorelle, offrendo loro gesti concreti di condivisione e di solidarietà. Auspico, pertanto, che si dedichi ogni energia per ridare speranza alle persone più deboli e bisognose di aiuto, in vista di una società sempre più accogliente, fraterna e a misura d’uomo”. Successive tappe hanno coinvolto anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

“I territori delle ‘aree interne’, poveri di popolazione e di risorse, dopo la pandemia vedranno – facile previsione – aumentare il numero dei poveri, anche se proprio la pandemia ha peraltro messo in luce le potenzialità delle aree interne rispetto ai grandi raggruppamenti urbani e alle aree metropolitane – ha sottolineato monsignor Accrocca -.Come vescovi non intendiamo sostituirci a nessuno, non vogliamo arrogarci compiti che non sono nostri, quanto piuttosto, in coerenza con il nostro ufficio di ‘pontefici’, vale a dire costruttori di ponti, intendiamo proporre un metodo che, in politica come in economia, come pure nel vissuto ecclesiale, tenga fermo il primato della comunione”. E il metodo, ha rimarcato l’arcivescovo, era ed è quello del camminare insieme, di “fare rete, quindi, gioco di squadra, programmando insieme una politica di sviluppo: se riuscissimo nell’intento, tutti ne trarremo vantaggio; in caso contrario, tutti saremo destinati a perdere”.Un “serio progetto per le aree interne”, secondo monsignor Accrocca, “avrebbe ricadute positive, anche sul piano economico, per tutta la Nazione. In un contesto dove i rapporti umani sono più forti e stabili che non nei grandi raggruppamenti urbani o – peggio ancora – nelle aree metropolitane –, risultano infatti più facili anche quei legami di solidarietà che in altri contesti lo Stato deve impegnarsi a garantire (non sempre con efficienza né efficacia) con grosso dispendio economico. Nei piccoli comuni, invece, molte persone si prendono cura dei vicini anziani, vigilando su di loro a distanza”.

“Quante persone potrebbero vivere in modo più dignitoso e sereno la propria vecchiaia in questi territori (invece che in case di riposo…), e quanto beneficio economico ne trarrebbe lo Stato, se vi fosse un progetto serio per rivitalizzare tali terre?”, si è chiesto il presule. D’altronde,

“la morte di una parte del territorio costituisce un danno serio per tutto il Paese,

in questo caso per la nostra Penisola: si pensi ai danni ambientali possibili in un territorio non presidiato, alla perdita che ne subirebbe il patrimonio artistico e culturale, senza contare che l’abbandono delle aree interne costituisce la premesse per l’ingigantirsi delle periferie urbane, che hanno già i loro consistenti problemi e dove la qualità della vita non è più umana”