Dall'Italia
Coronavirus. Cinque medici intervengono dopo l’intervista all’infermiera Batani. Chi è pro e chi è contro
Dopo l’intervista pubblicata ieri all’infermiera-sindacalista che lavora al reparto Covid dell’ospedale “Bufalini di Cesena, Francesca Batani, le reazioni non sono mancate. Tra le tante che hanno circolato, ne abbiamo raccolte cinque. Una sola con nome e cognome, ma tutte ben autorevoli. Si tratta di cinque medici, due di famiglia e tre ospedalieri. Due contro e due pro e uno che si colloca a metà. Ecco le opinioni in merito.
Chi è pro
Caro direttore,
l’articolo contiene una denuncia molto forte, ma i fatti denunciati sono veri.
Per esempio, ora i dpi tipo mascherine chirurgiche si vendono in farmacia, ma a noi la Ausl non ce le fornisce. Proprio ora mi è arrivata un’email in cui si annuncia una donazione di mascherine da una ditta privata, nei prossimi giorni. Penso che ad epidemia spenta arriveranno i dispostivi di protezione.
Questa pandemia dovrebbe farci ripensare il modello produttivo e il tipo di produzioni; non possiamo delegare ai paesi poveri o alla Cina/paesi asiatici i prodotti che vengono ritenuti di basso contenuto tecnico (tipo mascherine chirurgiche) perché tutti abbiamo visto ciò che succede in caso di pandemia. L’attuale esperienza ci ha mostrato che il valore concreto di qualsiasi prodotto è relativo al momento storico che viviamo. Non esistono prodotti importanti e altri non importanti. Dovremmo anche rivedere il sistema di ricerca di farmaci e vaccini, non delegandolo esclusivamente al privato. Se avessimo continuato a investire su ricerca di farmaci e vaccino dopo l’epidemia della Sars 1 forse non avremmo pagato il “caro prezzo” che stiamo pagando ora in termini di vite, di salute e di sacrifici di ogni tipo e per tutti. La Sars ha fatto mille morti e non era interessante ed economicamente vantaggioso per l’industria farmaceutica privata investirci. Non mi soffermo sul ridimensionamento eccessivo (per usare un eufemismo) della rete ospedaliera di cui ora tutti dibattono. Gli argomenti toccati mi riportano alla mente ciò che scrisse, nel 1986 sulla rivista Micromega, il grande economista sociale e mio conterraneo, Federico Caffè: “Agli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”.
Cordiali saluti
Vincenzo Pardi, medico di famiglia in provincia di Pescara
Sì, caro direttore, la situazione è simile anche da noi a … dove c’è un reparto di malattie infettive all’avanguardia e che partecipa attivamente alle sperimentazioni sui nuovi farmaci anti Covid. All’inizio hanno previsto percorsi differenziati per i pazienti Covid e quelli che andavano a fare i tamponi e un pre-triage per separare i sospetti dai pazienti presunti sani. Dopo questi provvedimenti siamo andati a braccio. Qualcuno distribuiva mascherine chirurgiche a tutti i pazienti, altri come me cercavano di capire cosa fare e come comportarsi man mano che la situazione si aggravava. Hanno rubato mascherine e disinfettante scassinando i depositi e questo ci ha messo in difficoltà all’inizio. La direzione ha emanato 1 o 2 bollettini al giorno con istruzioni che in parte si contraddicevano perché derivate dalle direttive nazionali e regionali altrettanto confuse. Sulle mascherine le indicazioni sono cambiate ogni giorno fino alla situazione attuale in cui siamo tutti obbligati a portarle durante il turno di lavoro.
Un primario che svolge la professione in uno degli ospedali dell’Emilia-Romagna
E poi c’è anche chi è contro
Esagerata. Non ho mai avuto in nessun momento necessità di un presidio che non ci fosse. Certo, le scorte non erano enormi, ma mai mancanti. Adesso abbiamo talmente tanta roba che potremmo venderla, davvero. Comunque i numeri sono in diminuzione ed è stata chiusa una della quattro terapie intensive per il Covid.
Un medico del “Bufalini” di Cesena
C’è tanto di sindacale in questa arringa. L’Asl non si è fatta trovare perfettamente preparata all’evento, ma non mi sento di sottoscrivere tutte le parole di Francesca. I presidi sono a disposizione degli operatori. Talvolta possono comprensibilmente subentrare ritardi di consegne dei materiali. Ho visto la necessità di centellinare questo o l’altro presidio, ma non ho ancora visto nessuno mandato “al macello”. Ci vogliono buon senso e disponibilità per comprendere il momento, pretesa del rispetto delle normative, contemperata ai problemi di un contesto emergenziale. Se fossero davvero mancati i presidi, gli operatori contagiati sarebbero molti di più e non le poche unità di oggi.
Un altro medico del “Bufalini” di Cesena
E chi si pone tra il pro e il contro
“È diverso tempo – dice un medico di famiglia di Cesena – che ho la percezione che questo virus fosse qualcosa di più grande. L’esperienza passata non era sufficiente. Si sono avute indicazioni diverse anche dall’Istituto superiore di sanità (Iss) che seguiva le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il lavoro quindi è stato più complicato del solito. Ogni giorno arrivavano indicazioni diverse sull’individuazione dei sintomi”.
“I pazienti non sono stati approcciati nella giusta maniera – ammette il dottore – nelle zone rosse o anche in Cina, dal punto di vista epidemiologico. Il primo da noi a cambiare strategia è stato il Pronto soccorso del “Bufalini”. Neanche l’Ufficio di igiene si era accorto della necessità di un cambiamento di strategia. Oggi sappiamo che è fondamentale fare analisi clinica del paziente, che è quello che a noi medici di famiglia manca. Il tampone va bene, ma ha finalità utili per l’ordine pubblico, per non fare andare in giro i positivi. Oltre questo primo passo occorre comprendere se un raffreddore o una polmonite hanno come origine il Covid-19. Solo al Pronto soccorso eseguono tampone, rx torace ed esami del sangue, ma ciò non avviene sul territorio. Solo col passare delle settimane abbiamo appreso la gravità della situazione. Fare la diagnosi giusta aiuta molto a prevenire. Ovvio, è molto impegnativo per tutti”.
“Col senno di poi – aggiunge il medico – le posso dire che per contenere la diffusione del contagio occorre fare prevenzione col contenimento sociale, ed è stata la vera svolta come i dati di questi ultimi giorni sembrano confermare, e tutelare le fasce di lavoratori a contatto con tutta l’utenza, e non solo con i positivi. Sì, perché chi si occupa dei positivi, nonostante gli alti rischi, sta molto in guardia, ma vede solo una minima parte dei reali positivi perché il resto è in circolazione, sul territorio appunto”.
“Occorre approcciare ogni paziente come se fosse positivo – rincara -. Sì, perché ormai è chiaro che in questa lotta contro il Coronavirus la prevenzione è fondamentale. Adesso si fanno molti più tamponi. E contenere i contagi significa anche grande risparmio economico perché si riesce a evitare che gli asintomatici, o i sintomatici lievi, vadano in giro a contagiare chi invece potrebbe poi avere bisogno di cure più importanti. Noi, personale sanitario, dobbiamo fare il nostro lavoro, ma sarebbe auspicabile una prevenzione molto molto più puntuale. Comunque in un solo mese e mezzo è cambiato tutto. L’azienda ora fa un controllo molto più intenso. Ha cambiato marcia”.
In soldoni, il concetto fondamentale rimane questo, riassume il dottore per evitare equivoci: “Contenimento sociale, individuazione precoce dei positivi e utilizzo dei dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr) adeguati, in particolare per gli operatori sanitari. Io dico che ce la faremo. All’inizio i casi forse sono stati sottovalutati e si sottostimava la reale situazione per i pochi controlli. Ora con i tamponi che si fanno in stile drive in e il nuovo protocollo adottato dal Pronto soccorso c’è stato un reale cambio di marcia. Poi dipende anche da noi: dobbiamo fare più attenzione quando si lavora. Nessuno di noi si vuole contagiare, anche se i presidi di sicurezza giusti fanno la differenza. L’azienda ci sta mettendo un grandissimo impegno. Questa volta abbiamo a che fare con numero di casi importante e ci vuole tempo per entrare a regime”.