Dall'Italia
Ru486: Noia (Univ. Cattolica): “Né sicura, né indolore, né semplice da usare. Tende a silenziare la verità della relazione mamma-figlio”
Le nuove modalità introdotte dalle Linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza con la Ru486, emanate dal ministero della Sanità lo scorso 12 agosto – estensione della possibilità di assumere la pillola abortiva fino a 9 settimane compiute di età gestazionale (contro le 7 precedenti), presso strutture ambulatoriali pubbliche collegate all’ospedale e autorizzate dalla Regione, consultori, o day hospital,“tendono a silenziare ulteriormente l’evidenza scientifica della relazione mamma – figlio che si crea fin dai primi istanti”, sostiene Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore dell’Unità operativa complessa hospice perinatale del Policlinico Agostino Gemelli e presidente dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc).
“Ancora una volta – dice Noia – non si vuole vedere il grande miracolo della relazione tra madre e figlio che si instaura fin dai primi istanti, dimostrato dalla scienza e testimoniato dalla sofferenza di tante donne dopo un aborto spontaneo a 7-8 settimane di gestazione”. “Ne ho seguite più di 400 – prosegue – e tutte mi hanno confidato un profondo dolore incompreso dagli altri; il dramma di una lacerazione che è indipendente dall’età gestazionale o dalle dimensioni del feto, legata alla perdita della presenza di un figlio”.
Ma a dirlo non è solo il cuore. In base alla letteratura scientifica, spiega Noia, “l’embrione riceve da subito ossigeno e nutrizionali dalla madre, ma già dalla quarta settimana di gestazione inizia una relazione di scambio perché il feto sviluppa pattern sensoriali in termini di gusto e olfatto, e invia alla mamma attraverso la placenta cellule staminali che possono circoscrivere o addirittura guarire alcune patologie materne. Una misteriosa ‘simbiosi materno-fetale’ la cui interruzione crea un profondo senso di perdita nella madre”.
Dopo questa premessa, l’esperto sottolinea le conseguenze psico-fisiche, immediate e a distanza, dell’utilizzo della Ru486 che definisce
“non sicura, né indolore, né semplice da utilizzare”.
“A chi la definisce conquista di civiltà e di libertà vorrei chiedere: ma di che civiltà e libertà stiamo parlando? Non si tratta di eliminare con una pillola un mal di testa; qui sono in gioco un essere umano e il vissuto di sua madre perché l’aborto uccide anche una parte della donna, della sua memoria e della sua fecondità”. Noia segue da molti anni l’abortività spontanea: “Per elaborare questa perdita e riaprirsi alla vita queste pazienti hanno bisogno di un percorso medico-biologico, ma anche psicologico perché la ferita che rimane loro nella mente e nel cuore può incidere negativamente anche sulla loro fecondità e riapertura alla vita. Figuriamoci quella di un aborto provocato e vissuto da una donna che, assunta una pillola, deve monitorare a casa come attrice protagonista l’agonia del proprio figlio”. Un processo che talvolta “può durare fino a due settimane, mentre il British Medical Journal riferisce che nel 56% dei casi in età gestazionale elevata la donna subisce l’esperienza devastante di vedere l’embrione espulso con tutto il sacchetto gestazionale”.
Per quanto riguarda la presunta sicurezza della Ru486, Noia ricorda che secondo l’American College of Obstetricians and Gynecologists e il britannico Royal College of Obstetricians and Gynecologists, l’estensione della procedura oltre la settima settimana di gestazione espone maggiormente la donna al rischio di gravi emorragie e di trasfusione, mentre la Fda informa che “a dicembre 2018 sono stati accertati negli Usa 24 decessi legati all’utilizzo della Ru486”. “Un dato sottostimato, riferito solo agli accertamenti autoptici che molte famiglie non possono permettersi”, il commento del ginecologo. Nel nostro Paese, l’Osservatorio sulla sorveglianza della mortalità materna dell’Istituto superiore di sanità rende noto che “in 40 anni di Ivg chirurgica si è verificato un decesso, mentre le morti correlate alla Ru486 introdotta 10 anni fa sono state due.
L’aborto farmacologico ha una mortalità 10 volte superiore rispetto all’aborto chirurgico.
Come si può parlare di sicurezza per la donna?”, si chiede l’esperto. Ma c’è di più: il britannico National Institute for Health and Care Excellence (Nice), incaricato di stabilire le buone pratiche di condotta clinica, riferisce che in diversi casi la gravidanza prosegue anche dopo l’assunzione della pillola abortiva, dato che la placenta da sette a nove settimane riesce ad essere molto più coesa con l’utero della madre, cosicché la donna si trova di fronte ad un devastante dilemma: “proseguire la gravidanza con il rischio che la pillola possa avere creato malformazioni nel nascituro, ripetere la procedura con un dosaggio più elevato e rischio di maggiori complicazioni, oppure ricorrere all’aborto chirurgico”.
Quella di Noia è una bocciatura su tutta la linea perché “chi sostiene che l’abolizione dell’obbligo di ricovero per tre giorni comporti notevoli risparmi per la spesa sanitaria non considera il costo economico e sociale per la comunità dei danni psicologici prodotti dalla Ru486, oltre al fatto che in caso di insuccesso bisogna ricorrere all’intervento chirurgico. Se fino alla settima settimana l’insuccesso era fino al 5 per cento, nelle settimane successive sale fino al 10 per cento”.
L’auspicio del professore è che queste linee di indirizzo non vengano rese operative. Essendo linee guida e non regole obbligatorie, i governatori delle Regioni potrebbero fare scelte diverse. “Abbiamo chiesto che non vengano rese operative – conclude – perché i presupposti su cui si basano – come il basso rischio dell’aborto farmacologico – non sono fondati. Inoltre forzano la legge 194 che prevede che l’aborto debba avvenire in strutture ospedaliere, e stravolgono la funzione dei consultori che sempre secondo la 194 dovevano esser luoghi deputati a offrire alternative e aiuto alla donna che avesse deciso di interrompere la gravidanza. Questa legge, che ritengo profondamente iniqua e ingiusta, trova nelle nuove linee guida un’estensione ancora più malefica”.