Dall'Italia
In tre anni 130 progetti e 27 milioni di euro per aiutare i migranti a partire o a restare
Il sostegno psicologico e legale alle persone sbarcate a Lampedusa. La formazione professionale e l’accoglienza dei migranti della rotta balcanica a Udine. L’accoglienza alle donne vittime di tratta e i “laboratori agricoli” con i lavoratori nei ghetti agricoli del metapontino. L’assistenza ai minori e la promozione delle donne rom in Albania. E poi 7 progetti in alcuni Paesi di transito dei flussi migratori: Marocco, Albania, Algeria, Niger, Tunisia e Turchia. E 13 nei Paesi di partenza: Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea. Sono solo alcuni dei 130 progetti realizzati in tre anni grazie alla Campagna della Cei “Liberi di partire, liberi di restare”, per un totale di 27.529.890 milioni di euro. La maggioranza – 110 – sono stati avviati in Italia per 14.879.290 euro: di questi 29 sono quelli promossi da associazioni, istituti religiosi e cooperative (9.433.920) e 81 quelli voluti dalle diocesi (5.445.370). Ai Paesi di transito è stata destinata una somma di 4.284.600 euro, mentre nei Paesi di partenza 8.366.000 euro. Sono le cifre illustrate ieri a Roma durante l’evento conclusivo della Campagna, che ha preso le mosse dai quattro verbi indicati da Papa Francesco: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. A coordinare le attività della Campagna è stato il “Tavolo Migrazioni”, formato da rappresentanti dell’Ufficio nazionale per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo, di Caritas italiana, Migrantes, Missio e dell’Apostolato del mare. Nel tempo è diventato un modello di lavoro per le diocesi.
Un cammino di condivisione di iniziative. Ad aprire l’evento, con una celebrazione eucaristica, è stato il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, che ha definito la Campagna “un lungo cammino di condivisione di storie e di iniziative che hanno cercato di gettare uno sguardo e porgere l’aiuto possibile sul vasto fenomeno delle migrazioni, che interessa da sempre il bacino del Mediterraneo, ma che ormai è divenuto un fenomeno planetario, con milioni di persone in tutto il mondo che sono alla ricerca di una vita migliore”.
Cambiare la narrazione sui migranti. L’iniziativa, ha proseguito monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, “ha contributo a cambiare la narrazione sui migranti, spesso falsata e utilizzata come leva per battaglie ideologiche”. “Non basta garantire un tetto e un po’ di cibo – ha sottolineato -: se non si favorisce l’incontro reale e non si offrono strumenti per l’integrazione, si consegnano i migranti all’emarginazione, alla ghettizzazione e alla criminalità organizzata”.
La “pandemia” delle migrazioni. Presente anche il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna: a suo avviso il fenomeno della migrazione è da considerarsi quasi “una pandemia, perché la tragedia continua e non ci sono risposte forti e adeguate”. “Sono 30 anni che andiamo avanti con la logica dell’emergenza pensando di trovare risposte rapide ed efficaci – ha fatto notare il cardinale Zuppi -. La campagna invece dava una prospettiva diversa, per lasciare le persone libere di restare e libere di partire”. “La carità deve produrre cultura – ha concluso -. Perché non basta la generosità. Dobbiamo andare in profondità per capire le necessità e cosa si può fare”.
Alcuni progetti in Italia. L’accompagnamento psicologico per superare le “ferite invisibili” dei traumi e il sostegno legale è lo scopo del progetto messo in atto a Lampedusa, come ha raccontato Germano Garatto, coordinatore di Re-Agire con i Migranti Onlus. I traumi sono quelli del viaggio ma anche la scoperta “che l’Europa non è quello che pensavano, che l’Italia non è il Paese dei diritti: questo li riporta indietro a situazioni già vissute, di porte chiuse e non riconoscimento”. A Udine è stato attivato invece il progetto “Liberi di stare bene”, alle frontiere della rotta balcanica, dove si pratica il cosiddetto “game”, ossia il tentativo di entrare in Italia illegalmente: “Ci sono persone che sono state rimandate indietro anche 18/20 volte – ha spiegato Paolo Zenarolla, vicedirettore Caritas Udine -. Vengono soprattutto da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. Per noi l’accoglienza è una forma di resistenza culturale: le nostre comunità vengono alimentate dalla cultura del rifiuto”. Caritas ha 300 persone accolte in appartamento, oltre a laboratori professionalizzanti che valorizzano le competenze. Al Sud, nel metapontino, dove si coltivano fragole, frutta e ortaggi, si è “creato un ghetto con 500 persone in condizioni disumane, anche a causa dei decreti sicurezza”, ha detto don Antonio Polidoro, direttore dell’Ufficio Migrantes Matera. Una ragazza è morta in un incendio e le autorità hanno deciso lo sgombero. Don Antonio ha accolto in parrocchia giovani costrette a prostituirsi, donne con bambini e lavoratori. La diffidenza iniziale dei parrocchiani si è trasformata in amicizia grazie alla conoscenza e all’integrazione.
In Albania riprendono le partenze. In Albania, chiamata dagli operatori sociali “l’Africa bianca”, la situazione è di grande depressione economica e povertà, acuita dal terremoto dell’anno scorso e ora dalla pandemia. Dopo la grande fuga di 2 milioni di persone negli anni ’90, ancora oggi l’80% degli albanesi è scoraggiata, non vede opportunità e vorrebbe andarsene. “Gli scafisti si stanno riorganizzando e siamo molto preoccupati – ha raccontato padre Antonio Leuci, direttore di Caritas Albania -. Giorni fa 20 minori su un barcone sono stati portati in salvo. Mentre tutti vanno via noi Chiesa restiamo a lottare e soffrire con il popolo”. Caritas Albania è l’unica organizzazione scelta dall’Unhcr per lavorare con gli immigrati. Hanno una casa per ospitare mamme e bambini, un progetto per aiutare i minori vittime di traffico e progetti per le donne rom. Don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo, ha concluso l’incontro ricordando che molti progetti sono ancora in corso: “Abbiamo la speranza di aver innescato prassi virtuose, di aver fatto aprire gli occhi per riuscire a vedere i migranti come fratelli e non come nemici. Bisogna trovare il coraggio di prendere posizione e realizzare gesti concreti”.