Meeting Rimini. Simoncini (Fondazione): “Diamo spazio all’Italia positiva”

“Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime” sarà il titolo della 41ª edizione che si terrà a Rimini dal 18 al 23 agosto 2020. Abbiamo intervistato Andrea Simoncini, membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Meeting di Rimini e docente di diritto costituzionale all’Università di Firenze.

Professor Simoncini, che Meeting è stato questo appena terminato? Quali tratti sono emersi con particolare evidenza?Il Meeting si è confermato come un privilegiato luogo di incontro di uomini e popoli diversi. La caratteristica che in 40 anni di storia ha connotato il Meeting è proprio quella di essere un luogo di incontro e non di scontro, dove si dialoga senza porre pre-condizioni. Non un luogo di irenismo dove tutti siamo d’accordo e la pensiamo allo stesso modo, ma di incontro che è il modo con cui conosco l’altro. Nell’incontro c’è sempre una sorpresa, una meraviglia ed è ciò che lo rende attrattivo. Abbiamo avuto due presidenti della Repubblica, Napolitano e Mattarella, che sono venuti al Meeting a dirci che siamo un luogo dove si ricostituisce un dialogo e una sostanza civica della nostra Repubblica proprio perché luogo di incontro. In 40 anni di storia il Meeting resta uno dei luoghi di espressione e di dialogo più libero.

In mezzo a scontri verbali e confronti velenosi, il mondo politico ne è un esempio, non è cosa da poco…Certamente. In un tempo caratterizzato da toni violenti di linguaggio, da discorsi di odio, un luogo come il Meeting – dove la differenza, la diversità e la distanza sono fattori di curiosità invece che di repulsione – emerge ancora di più. Bisogna tornare alla essenzialità del primo Cristianesimo che quando ha impattato il mondo romano, totalmente pagano, non ha costruito muri o steccati, ma si è aperto a questa grande diversità cogliendola come opportunità di incontro e diffusione.

Come tradizione anche quest’anno il Meeting ha prodotto una serie di eventi, dibattiti, mostre, impressionante per numero e qualità. Questo grazie anche all’impegno di centinaia di volontari. Esiste un filo rosso che ha tenuto insieme tutti questi momenti o se vuole, una parola chiave che faccia sintesi di questa edizione del Meeting?La parola chiave è libertà, declinata con diverse aggettivazioni. La prima è libertà religiosa. Questo è stato il Meeting della libertà religiosa e non solo per i momenti di dialogo con l’islam, con il mondo ortodosso, con quello orientale, con il Giappone. In questi incontri abbiamo capito che libertà non significa dire che tutto va bene, ma consentire all’altro di essere fino in fondo se stesso per potere esprimere tutto ciò che di vero ha. La libertà è la condizione dell’incontro. La mostra, molto apprezzata dal popolo del Meeting, sull’incontro tra san Francesco e il Sultano a Damietta 800 anni fa è il simbolo di questo dialogo. Poi libertà politica: questi sono anche i giorni della crisi politica.

Nel Meeting abbiamo avuto tantissimi rappresentanti politici e delle Istituzioni e tutti hanno parlato di bene comune. Rimini è stato il luogo dove il mondo politico si è incontrato senza competere o peggio scontrarsi. Infine libertà sociale, vale a dire la libertà della società di crescere dal basso come ci hanno raccontato le tante associazioni, organismi ed enti presenti nei padiglioni della Fiera.

Qual è, allora, la proposta o il messaggio che esce da questo Meeting?È una proposta di speranza. Ci sono esempi di speranza visibili a tutti. Basta avere occhi semplici e liberi per poter osservare ciò che succede. La forza di un esempio può travolgere tutto. Spesso abbiamo un’immagine dell’Italia molto peggiore rispetto alla realtà. Diamo spazio a questa Italia positiva.

“Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime”: questa frase di A.J. Heschel è il tema dell’edizione 2020 del Meeting. Per quale motivo avete scelto di puntare sulla meraviglia e sul sublime?Una scelta come da tradizione controcorrente. In un tempo in cui sembrano dominare sguardi cupi, disillusione e tristezza, ecco l’apertura alla meraviglia, allo stupore e al sublime. Sublime: qualcuno la considera una parola un po’ demodé, ma essa detiene in sé la capacità di far alzare lo sguardo. Vogliamo sottolineare questa capacità di stupirsi, di farsi colpire positivamente dalla realtà che è l’inizio di ogni conoscenza e di ogni cammino.

Se non riesco ad avere un moto di stupore rischiamo di diventare sordi al sublime. È, in definitiva, una scommessa sulla bellezza.

Un’ultima domanda… Don Giussani, parlando al Meeting del 1985, fece a tutti una raccomandazione: “auguro a me e a voi di non stare tranquilli, mai più tranquilli”. Dopo 40 anni questa inquietudine è ancora viva o si è assopita?L’inquietudine è viva e permea il popolo del Meeting. Quarant’anni di storia hanno cambiato il Meeting, ma lasciato intatta questa inquietudine che ci ha permesso di attraversare quattro decenni di storia, non solo italiana, restando vitali. Ero presente al Meeting del 1985 quando parlò don Giussani. Non è fu solo un discorso. Ma parlò del modo con cui il Meeting vive e si rapporta alla realtà. Lo vediamo anche nella scelta dei temi del Meeting che hanno sempre posto domande e lasciato porte aperte. Il Meeting è sempre stato una grande porta aperta sulla realtà come un vero luogo di incontro deve essere. Lo è stato per 40 anni, lo sarà anche per i prossimi.