Dall'Italia
Il ricordo: “Don Vincenzo Rini, non so se per me è stato più un padre o più un fratello. Di certo era uno su cui si poteva contare”
Sono rimasto del tutto senza parole. Mi ci è voluto un po’ per riprendermi. La notizia della morte, a causa del Coronavirus, del carissimo don Vincenzo Rini, per due mandati presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc) mi ha colto davvero impreparato.
Adesso, dopo un po’ di ore, tento di buttare nero su bianco qualche pensiero che gli vorrei dedicare, per esprimere, nell’unica maniera in cui sono capace, quell’immenso grazie di cui mi sento debitore nei suoi confronti.
Questi tempi così difficili, a tratti anche crudeli, ci impediscono di andare al suo funerale. Questa sensazione mi fa stare male fisicamente. Non poter condividere con tanti amici l’ultimo saluto a uno che è stato di più di un compagno di viaggio mi toglie qualcosa. Mi sento deprivato di un saluto, l’ultimo, di solito mai banale. Anche per don Rini, uno che per me è sempre stato personaggio cui guardare con ammirazione, stima e simpatia.
Non ricordo neppure quando conobbi per la prima volta don Vincenzo. Mi pare fossimo in Sicilia, negli anni Novanta. Con le sue immancabili barzellette attirò la mia attenzione di giovane allievo degli ambienti Fisc. Aveva questa sana capacità di sdrammatizzare. Non era mai banale. Sì, a volte insisteva un po’ su alcune lamentele, ma non stancava mai. Gli volevamo bene anche per quelle sue esternazioni, a tratti severe, mai cattive.
Non so se considerare don Vincenzo più un padre o più un amico. Di certo era uno su cui si poteva contare. Negli anni, lunghissimi, delle nostre frequentazioni ci siamo sempre stimati. Per lungo tempo l’ho affiancato e l’ho sostenuto come presidente della nostra Federazione. Poi ho imparato ad apprezzarlo ancora di più quando lui, lasciati gli abiti da presidente, ha continuato a frequentare gli appuntamenti Fisc rispettando sempre i suoi successori, me compreso.
Con lui mi sono spesso confidato. Sapevo che mi potevo fidare. Sapevo che quanto mi avrebbe consigliato sarebbe sempre stato sia per il mio bene che per il bene dei nostri giornali, strumenti in cui ha creduto tantissimo e per i quali si è speso per anni. Ricordo il convegno nazionale della Fisc a Cremona e quello a Cesena, nel 2002, per i 90 anni del Corriere Cesenate, quando lui era presidente e io ero uno dei due vice. Ma i ricordi sarebbero infiniti, e qui non posso dilungarmi troppo: le cene insieme a Roma o la celebrazione della Messa, di primo mattino cui non mancava mai, nonostante un’agenda molto fitta, solo per citarne alcuni.
Lui fu ospite a casa mia e io a casa sua. Ho nitida nella memoria questa scena. Passeggiavo con don Vincenzo nelle vie del centro di Cremona, la sua città, che lui amava tanto. Mi faceva da cicerone. Mi spiegava ogni dettaglio: il teatro Ponchielli, il museo del violino, le chiese, la cattedrale con il campanile meraviglioso (il Torrazzo con i suoi 112 metri di altezza), la piazza, i palazzi. Tutto. Ma quello che più ricordo, oltre alla tomba del vescovo Cazzani che dalla Diocesi di Cesena passò a guidare quella di Cremona, furono gli incontri con le persone. Facevamo fatica a camminare, tante erano le donne e gli uomini che lo salutavano o si fermavano a parlare con lui. Capii, in quell’occasione, quanto fosse prediletto e seguito quel prete/direttore. Un personaggio autorevole, tanto amato anche a casa sua e non solo da chi, come noi, lo ammirava come presidente della nostra Federazione. Stimato e seguito da moltissimi, come potei constatare di persona in quelle giornate preziose. Un incontro ravvicinato che ora mi porto nel cuore e conservo caro in questo momento così tormentato di un distacco imprevisto.