Lettere
I giovani e la scuola. Ma non solo… “Non voglio farmi narcotizzare dall’indifferenza”, scrive Agnese
Ci ha scritto Agnese, una studentessa delle scuole superiori. Vuole rispondere alla ragazza del liceo Monti che ci ha scritto il 5 gennaio (cfr il testo nella sezione “Lettere”). Diamo spazio molto volentieri a questo scambio tra giovani. Ragazzi che manifestano tutto il loro disagio per questi mesi in lockdown, ma anche il loro entusiasmo verso la vita e il desiderio di viverla appieno.
Cara compagna, quanto tempo sprecato, in questi mesi, quanta energia sprizzante dei 18 anni consumata sul divano a guardare serie tv o davanti allo schermo delle video-lezioni. Non potersi prendere nemmeno quelle piccole libertà che fino a un anno fa si davano per scontate: abbracciare gli amici, andare alcinema, fare una passeggiata. E rimanere chiusi in casa, affogando nel nulla uniforme di giornate sempre uguali. Sono come te, potrei dire “ho 18 anni e non li ho vissuti”.
La prima quarantena è stata per me durissima, e non solo per il fatto di dover rinunciare alle cose che fanno i ragazzi della mia età nella normalità. È stata difficile perché mi ha costretto a stare davanti a me stessa, senza distrazioni, senza scuse. A novembre ho preso la patente, strumento di una nuova indipendenza, eppure non potevo uscire dal mio comune, ero “incatenata” lì dalla realtà. Dobbiamo tutti fare i conti con le circostanze, a causa della pandemia che si impone, dispotica, sulle nostre giornate, sui nostri desideri, e ci toglie quasi tutte le vie di fuga che usiamo per evitare noi stessi, come fare serata in discoteca e sballarsi. Tutte queste occasioni mancate sembrano perse e mi dispiace non fare la gita di quinta, non fare la cento giorni, non poter più viaggiare all’estero o anche semplicemente organizzare una festa per i miei 19 anni in arrivo. Nonostante ciò, non voglio rassegnarmi a farmi narcotizzare dall’indifferenza, il nostro nemico più grande, come se la quotidianità fosse una prigione che mi separa dalla vera vita, quella post-covid, quando tutto si sarà risolto.
La vita non si può passare ad aspettare. Ho bisogno di vivere profondamente affinché il tempo non mi scivoli addosso in un loop sempre uguale. Ho bisogno di un senso nelle mie giornate. Sembra banale, ma soltanto accettando di sentire tutta la realtà, rinunciando a quella coperta di passività che dà sicurezza e protezione riesco a vivere, semplicemente vivere. Anche se in mezzo a una pandemia, anche se faccio fatica, anche se sto male. Come te, ho paura di sprecare la mia vita, ma se ho imparato qualcosa, è che non esiste la vita giusta o la vita sbagliata, che non esiste tempo sprecato, se uno vive. L’anno passato è stato difficile, ma sono cresciuta e soprattutto ho imparato a gustare le cose, che non vuol dire accontentarmi di quello che c’è, ma ricercare qualcosa di grande, una sorpresa in ogni giornata. Io voglio godermi le cose, essere felice adesso. E posso farlo soltanto se mi impegno in quello che ho davanti nel presente. Ad esempio, mi ha aiutato tanto appassionarmi allo studio e cercare di capire cos’è che corrisponde veramente a me, in vista della scelta universitaria (nonostante l’iniziale terrore con cui attendessi la fine delle superiori).
Quello che mi dà speranza, una speranza reale per la mia vita, non è semplicemente un motto fasullo come “andrà tutto bene”, sono quei rapporti che mi fanno sentire amata, le persone che mi fanno percepire un bene per la mia vita. Non parlo delle conoscenze di cui si sanno più cose dai social che da un dialogo, ma di quelle relazioni vere, che sono utili a vivere meglio, e che, quando si riscoprono, si ha l’impressione di non essere mai stati abbandonati. Per quanto pesante, essere confinati tra i muri di casa durante il lockdown mi ha permesso di riscoprire i miei familiari, che vivono sotto il mio stesso tetto, ma che forse ho sempre dato un po’ per scontati. Cercando di non rassegnarmi al menefreghismo e scegliendo di guardare davvero quello che avevo intorno, mi sono sorpresa per le tante sfaccettature perse dal mio sguardo distratto di prima e il rapporto con la mia famiglia si è rafforzato ancora di più.
Dici che ormai non sappiamo più relazionarci con gli altri, ma, nella mia esperienza, i rapporti più veri non si nascondono dietro ai superficiali “ciao, come va” “bene e te” “tutto ok”. Sono con quelle persone che ti ascoltano, con cui ti senti libera di approfondire tutto e arrivare al fondo. Sono quelli che ti guardano e ti vogliono bene come sei, senza cercare di importi la loro idea, senza risolverti i problemi, ma facendo un po’ di strada al tuo fianco. I miei prof, appassionati al loro lavoro e ai loro studenti, ma comunque esigenti; i miei genitori, che vogliono solo il bene per me; le mie amiche, che non hanno paura di dire le cose come stanno, in modo diretto e senza doppia faccia; il mio moroso che di me non cambierebbe neppure i difetti.
La pandemia ha spazzato via le abitudini, i rapporti e le occasioni pro forma, che molte volte sono soltanto distrazioni. Adesso siamo tutti costretti ad approfondire cos’è che conta davvero per la nostra vita, sia in merito a noi stessi, sia nelle relazioni con gli altri. Per quanto drammatica sia la situazione, per quanto le circostanze all’apparenza sembrino contro di me, un insensato loop di dolore e indifferenza, in realtà proprio questa pandemia, proprio questa situazione faticosa, mi ha spinta a crescere e ad aprire gli occhi, imparando ad andare oltre le mie lamentele e ad alzare lo sguardo per vivere ora, senza accontentarmi di aspettare una normalità che comunque non sarebbe la risposta a quello che mi interessa davvero. Mi sono accorta che il problema non sono le circostanze, ma quello che uno ha nel cuore e, quindi, come affronta la realtà. Io mi sono stupita felice, viva, anche nel pieno di una pandemia.
Per questo ti auguro, con le parole di Calvino, di scoprire e dare spazio, dentro l’inferno, a ciò che inferno non è.
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è
già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni […]. Due modi ci sono per non
soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte
fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo
all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Agnese