Otello Catania, tante lezioni dentro e fuori dal campo

Alla vecchia maniera, Otello Catania per rilasciare queste dichiarazioni ci tiene a incontrarmi di persona, come si faceva una volta insomma. “Non faccio interviste da 15 anni”, mi dice al telefono. Così, in un chiosco lungo le mura del centro cittadino di Cesena, l’ex centrocampista ricorda la grande cavalcata del Cavalluccio nel 1972-1973 che portò alla prima e storica promozione in Serie A.

Oltre ai tre anni di B, fece anche i primi due in massima serie. “Ho un ricordo bellissimo con questi colori – spiega – perché nel primo anno che ho giocato ero un ragazzo e stavamo per retrocedere ma alla fine ci salvammo. Poi con l’arrivo di Radice abbiamo trascorso due anni meravigliosi che sono culminati con la promozione in A”. Fu grande festa in città. “Siamo riusciti a centrare la prima promozione di una provinciale in Serie A, ricordo l’entusiasmo dei tifosi. Nell’ultima partita in casa col Mantova il campo era pieno di bandiere e ghirlande. Fu una cosa spettacolare”.

Al di là del risultato sportivo crebbe anche il senso di appartenenza. “Una città gioì e ci omaggiò con tante feste. Noi eravamo consapevoli che avevamo contribuito a dare questa gioia alla città di Cesena”. Determinante fu la creazione di un gruppo affiatato sotto la guida di Gigi Radice. “Eravamo compatti e il merito era del nostro allenatore. Stavamo molto bene insieme e ci aiutavamo. È il segreto di tutte le squadre. È stato lui a creare qualcosa di importantissimo: non solo per noi che siamo riusciti a centrare questo obiettivo tecnico, ma anche per la società. Radice ha contribuito a creare una nuova mentalità nel club”. Questa nuova forza ha dato slancio alle stagioni successive. “Avevamo un impianto consolidato con Ceccarelli, Ammoniaci, Orlandi. Poi venne Cera che ci diede una grossa mano. In panchina arrivò Bersellini dopo Radice e ci salvammo per due anni di fila in A, non fu facile”. 

Dopo tanti anni trascorsi sono rimaste anche molte amicizie fuori dal campo come con “Zaniboni, arrivò in A dalla Juve, era un difensore. Sento anche Boranga, Mantovani ma anche tutti quelli di Cesena come Ceccarelli e Ammoniaci, che abita sopra casa mia”. Un altro compagno, che poi nella carriera di dirigente ha vinto tutto con Milan e Barcellona, è stato Ariedo Braida. “L’ho sentito poco tempo fa da Cremona e abbiamo parlato di Ballardini. Ariedo era un brontolone, ma era bravissimo con i compagni. Ricordo lo striscione all’ex Fiorita ‘Con Ariedo i gol li vedo’”.

All’apice della carriera Catania ricevette anche la chiamata in Nazionale. “Fulvio Bernardini mi chiamò nel 1974-1975 per un test amichevole con l’under 21. Io andai a Roma e, tra gli altri, conobbi Albertosi, che era amico di Cera. Dopo l’allenamento alla vigilia all’Acquacetosa, giocammo la partita. Io entrai nel secondo tempo e mi posizionai nel mio ruolo a centrocampo. Qui c’era Cordova della Roma ed ero al suo posto e mi disse ‘ndò vai, spostati un po’’, così mi posizionai poco più in là”.

Superata la pagina bianconera, Otello Catania si trasferì al Genoa in B e vinse il campionato. “Ricordo tutti con affetto, non sono mai retrocesso da giocatore e qui ho vinto il secondo campionato cadetto. Purtroppo fu una stagione in cui fui condizionato dalla pubalgia di cui già soffrivo e non giocai molto. C’era una super squadra con dei giocatori importanti come Mario Corso, Rosato, Bruno Conti, Fabio Bonci, Pruzzo, e Mendoza”. 

Dopo le annate con Sambenedettese e Forlì, il giocatore romagnolo si ritirò dal calcio giocato per dedicarsi all’insegnamento dei corsi federali da allenatore dedicato ai nuovi tecnici. “Per 25 anni ho tenuto lezioni e corsi per il patentino di terza (Promozione – Eccellenza – serie D, ndr), seconda (Serie C, ndr) e prima categoria (Serie A-B e Commissario tecnico, ndr). Ho avuto come iscritti Bisoli, Pioli e Spalletti”. A cavallo degli anni ’90 e 2000 arrivò anche la chiamata a responsabile del settore giovanile del Cesena, prima con la gestione di Giorgio Lugaresi in cui “ci fu la vittoria del Viareggio e vennero fuori giocatori arrivati nei professionisti come Ambrosini, Comandini, Rivalta, Calderoni” solo per fare alcuni esempi. Una nuova chiamata avvenne sotto l’era di Igor Campedelli ma “son stato poco più di un anno perché non condividevo la linea societaria”.

Al giorno d’oggi si dice che in Italia non ci siano talenti e la Nazionale maggiore ha grossi problemi di risultati. “In altre nazioni come Inghilterra e Spagna hanno meno paura di far giocare i giovani. Ad esempio il Barcellona ha vinto il campionato con giocatori giovanissimi come Pedri, Gavi e Ansu Fati. Bisogna che il settore giovanile sappia presentare alla fine del percorso i ragazzi con qualità, mentalità e personalità in grado di affrontare degli impegni così difficili”. L’idea da cui partire è “il talento. Bisogna aiutare i ragazzi che hanno delle predisposizioni a farli diventare giocatori. Per chi viene da fuori servono anche strutture come il convitto e la scuola. Occorrono allenatori bravi e il responsabile deve cercare di dare una linea. Ci vogliono tecnici con la mentalità che sia adeguata: nel settore giovanile bisogna formare il giocatore e vuol dire che l’allenatore deve prima saper stare con loro e far capire che è contento di allenarli. Detto ciò è fondamentale la preparazione dei mister dal punto di vista tecnico e del gioco. Ai ragazzi bisogna anche dare regole e disciplina e un sostegno affettivo, soprattutto per chi è lontano da casa, ma bisogna anche saperli aspettare”. Un esempio può essere “Nicola Campedelli. Al primo anno di Allievi faceva fatica a giocare a livello fisico perché veniva sovrastato da chi aveva già maturato”. Guardando al calcio internazionale, Roma, Fiorentina, Inter e poi l’Italia U20 sono state tutte sconfitte nelle rispettive finali di coppe: un dato che può risultare negativo invece “vuol dire che si stanno facendo dei passi importanti”.

Prima dei saluti un’ultima curiosità: al di là del calcio, Otello Catania mi illustra la sua passione per la lettura. “Mi piace la narrativa – mi rivela -. Ora sto leggendo il libro ‘Lezioni’ di Yan Mcewan”. E a proposito di lezioni sono state davvero tante quelle che ha dato dentro e fuori dal campo.