Dalla Chiesa
Processo al cardinale Barbarin. Monsignor Gobilliard (Lione): “Ho detto grazie alle vittime”
“C’è stato un processo, un processo che è stato anche una battaglia tra avvocati ma al cuore di questo processo c’erano degli uomini, uomini che hanno sofferto e soffrono terribilmente”. Comincia con queste parole il lungo racconto che monsignor Emmanuel Gobilliard, vescovo ausiliare di Lione, ha fatto questa mattina al Sir del processo che, dal 7 al 9 gennaio, ha visto il cardinale Barbarin al fianco di altri 5 responsabili della diocesi rispondere in Tribunale per omessa denuncia alla magistratura di violenze sessuali, commesse dal sacerdote Bernard Preynat su giovani scout, fra il 1986 e il 1991. Monsignor Gobilliard è stato presente al processo in quanto, su richiesta del cardinale Babarin, rappresentava la diocesi di Lione. Tre giorni in cui la diocesi è stata messa al centro dell’attenzione mediatica di tutta la Francia. Alexandre, François, Mathieu, Stéphane – le vittime – hanno testimoniato, alla sbarra, uno alla volta, il trauma causato dagli abusi e il confinamento nel silenzio in cui sono stati obbligati. “Sono riuscito ad incontrare ogni vittima”, racconta Gobilliard: “Sono andato a ringraziarli, uno ad uno, non davanti alle telecamere. Ho ringraziato Christian Burdet per la sua forza e il suo coraggio. L’ho ringraziato guardandolo negli occhi e lui è scoppiato a piangere, perché – mi ha detto – era la prima volta che un vescovo gli si avvicinava per ringraziarlo. Matthieu non ha mai voluto parlare alla stampa, non ha mai voluto avere alcun contatto con i media. Mi sono avvicinato anche a lui nell’aula del Tribunale e gli ho detto la stessa cosa”.
“In questi giorni ho capito che non dovevo presentarmi a livello del diritto, della giustificazione, della difesa ma nella carità”.
Abbiamo visto anche tanta rabbia. Come avete vissuto come Chiesa questa rabbia?Veramente io non ho avvertito rabbia. Ho piuttosto sentito un grido. Alexandre ha gridato la sua sofferenza e nel farlo è stato vero e profondamente umano. Sono rimasto molto colpito. Dio ha bisogno del nostro grido per poter esercitare su di noi il suo lavoro di misericordia e guarigione. La cosa più importante ora è permettere a questo grido di esprimersi altrimenti non ci potrà mai essere incontro possibile e non ci potrà mai essere verità.
Il processo ha fatto questo: ha permesso al grido delle vittime di esprimersi.
Il processo è stato ripreso dalle telecamere. Nelle immagini abbiamo visto una Chiesa umiliata. È stato così? Sì, certo. Abbiamo vissuto tutto questo come una ferita. Era interessante vedere nell’aula del processo un movimento: da una parte, le vittime umiliate nel loro corpo, umiliate da un profondo senso di colpevolezza, umiliate dal silenzio. Sono arrivate con le spalle ricurve dal dolore. Dall’altra, noi che abbassavamo la testa. E nella misura in cui noi ci ricurvavamo nel loro e nostro dolore, vedevamo le vittime che rialzavano la testa. Nella misura in cui il cardinale e noi eravamo afflitti nella vergogna per quello era successo, loro riuscivano a rialzare la testa. Penso che non ci potrà essere vera riconciliazione e mai potremo raggiungere le vittime, se noi non ci umiliamo, se rimaniamo in un atteggiamento di difesa e giustificazione. Quando ho incontrato François Devaux (e questa volta è stato davanti alle telecamere), era proprio per umiliarmi davanti lui. Per dirgli: sì, siamo peccatori.
Sì, è vero, ci sono stati dei malfunzionamenti nella Chiesa. Sì, ci sono stati dei silenzi, dei comportamenti sbagliati, ma è grazie a voi che lo abbiamo capito.
La Francia attende una parola chiara dalla Chiesa. Quale messaggio volete dare al termine di questa esperienza lionese?Rispondo con la citazione di una vittima. Facciamo in modo che mai più si ripetano cose simili. Ma a questa citazione vorrei anche aggiungere: facciamo di tutto perché non ci siano mai più le condizioni che hanno permesso questi atti. E le condizioni in cui si sono prodotti questi atti, erano condizioni strettamente legate al clima di clericalismo che si vive nella Chiesa. Chiediamo, allora, di non essere trattati per quello che non siamo. Noi siamo solo dei servitori e siamo peccatori. Quello che siamo, lo dobbiamo unicamente a un ministero, che è difficile da vivere ma cerchiamo di viverlo pienamente, ma
vi prego: non ci mettete più sul piedistallo.