Oggi, 17 gennaio, il ricordo di sant’Antonio abate

Mercoledì 17 gennaio nella II settimana del Tempo Ordinario. Memoria di sant’ Antonio abate o del deserto o d’Egitto o il Grande. Quando un santo ha così tanti soprannomi vuol dire una cosa sola: è un santo famoso. Sant’ Antonio lo troviamo ancora oggi presente in tutte le chiese rurali o di campagna; con l’inconfondibile abito nero o marrone o di altre fogge, il bastone in mano, la barba folta e lunga e l’immancabile maialino ai suoi piedi.

Sul porcellino, suo inseparabile compagno di iconografia cristiana hanno scritto cercato di dare diverse tradizioni sul suo significato: la peggiore è che fosse un simbolo del demonio. La realtà è che il maiale serviva con il suo grasso a lenire principalmente la prurigine causata dall’herpes zoster, una infiammazione ignorante come pochi, che non da tregua né di giorno né tantomeno di notte… da lì in poi ribattezzata: “il fuoco di sant’Antonio”. 

Antonio per via del maialino è stato anche scelto come patrono e protettore degli animali. È tradizione portare i propri animali a due o quattro zampe e farli benedire. Una volta tanto anni orsono il curato passava nelle campagne a benedire le stalle, vista l’impossibilità di portare le bestie in parrocchia. Con il tempo, sparite le stalle, ci si è ridotti a fare benedire cani, gatti, tartarughe, pesciolini rossi…

Ma veniamo a cose più importanti. Antonio è considerato il padre del monachesimo orientale. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È uno dei quattro Padri della Chiesa d’Oriente che portano il titolo di “Grande” insieme allo stesso Atanasio, a Basilio e a Fozio di Costantinopoli. È ricordato nel santorale della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma gli Ortodossi ed i Copti lo festeggiano il 31 gennaio.

Nacque a Coma o Cuma (l’odierna Qumans) il 12 gennaio del 251; figlio di benestanti agricoltori cristiani, ancora giovane rimase orfano con un sontuoso patrimonio e una sorella più piccola da accudire. Frequentando la chiesa sentì presto la chiamata direttamente dalle parole del Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri”. Affidò la sorella a una comunità femminile (lasciando una giusta somma per mantenerla) e il resto come dicevo lo diede tutto ai poveri. Abbandonò tutto per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì ultracentenario nel 356.

Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente. Anche Costantino e i suoi figli né cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata dal discepolo fedele sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa. È il protettore di eremiti, monaci e canestrai perché con la sua piccola comunità di eremiti intrecciavano cestini e canestri e altre suppellettili che vendevano per poter avere di che vivere. Appoggiò con decisione Atanasio nella lotta contro gli ariani. Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato: padre dei monaci.