Dalla Chiesa
Sinodo, monsignor Baturi: “Vogliamo dialogare ed essere aperti al mondo”
Nonostante “alcune resistenze interne”, nel cammino sinodale della Chiesa in Italia predomina la volontà di “entrare in dialogo con l’umanità nel suo complesso”. È il bilancio del cammino sinodale delle Chiese in Italia, nelle parole di monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio permanente dei vescovi italiani. “È vero, ci sono alcune resistente interne – ha ammesso il presule – e c’è la necessità di proseguire nel lavoro con un metodo capace di unire l’ascolto, il dialogo e la capacità di essere aperti al mondo in cui si vive”.
“La Chiesa non deve limitarsi a parlare di mondo, ma deve ascoltarli e farli parlare”, ha detto Baturi tracciando un bilancio positivo della fase di ascolto del Sinodo, che ad esempio nel mondo delle carceri ha visto “cantieri” di dialogo e di “iniziative da parte di persone che hanno qualcosa da dire e da fare sulla Chiesa”. Ad una domanda sugli echi del Sinodo tedesco, che avanza proposte in tema di benedizione delle coppie gay e dell’abolizione del celibato sacerdotale, Baturi ha risposto: “Nell’esperienza italiana non sono temi dominanti”. “Esplicitare vie percorribili per un cambiamento”, la direzione di marcia per il proseguimento del cammino sinodale, che ha concluso la prima fase dedicata all’ascolto e ha coinvolto, finora, in Italia circa mezzo milione di persone. Tra i temi della conferenza stampa, le migrazioni, a cominciare dalla tragedia di Cutro, e il dibattito su maternità surrogata e registrazione all’anagrafe dei figli delle coppie omosessuali.
Migrazioni. “Siamo disponibili a collaborare, forti della nostra esperienza decennale, per allargare gli spazi dei canali legali che permettono di salvaguardare le vite e di togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose”. Lo ha assicurato monsignor Baturi, rispondendo alle domande dei giornalisti sulle migrazioni e citando i corridoi umanitari. Nel comunicato finale del Cep, i vescovi hanno evidenziato la “debolezza delle risposte messe in atto” in tale ambito, facendo riferimento alla tragedia di Cutro e definendola “una ferita aperta”. “Ci sono due procedimenti in corso presso due procure, non possiamo entrare su questo”, ha precisato il segretario generale della Cei: “Naturalmente è una ferita aperta, si tratta di persone morte sulle nostre coste”. “Auspichiamo una vera concertazione tra gli Stati europei nella gestione di un fenomeno che è globale e non può essere affrontato se non in modo concertato”, l’appello a nome dei vescovi italiani: “Una politica fatta solo di controllo, di ordine pubblico, di restrizioni e di respingimenti non coglie il problema vero, che è la tutela delle vite delle persone. Bisogna soccorrerle e verificare un’integrazione che è possibile e importante per tutti, perché tutti abbiamo bisogno di una società nuova, a cominciare dall’inserimento nel mondo del lavoro”. “Una politica globale e lungimirante – ha proseguito il segretario generale della Cei – non può non farsi carico del fatto che la libertà di andare deve essere connessa alla libertà di restare, e ciò è possibile solo se ci sono condizioni di vita dignitose”.
Maternità surrogata e figli di coppie gay. Interpellato dai giornalisti sulla registrazione all’anagrafe dei figli delle coppie omosessuali, Baturi ha risposto: “Preoccupa fare di cose così delicate, che riguardano la vita delle persone, un motivo di propaganda o di slogan. Devono esserci discussioni per strumenti giuridici più adeguati, ma ciò che preoccupa è fare di cose così delicate, che riguardano la vita delle persone, motivo di propaganda o di slogan”. “Occorre adottare strumenti più prudenti per dare dignità alle persone”, l’invito del segretario generale della Cei: “Se invece si usano strappi per imporre una visione, si rischia di dimenticare la concretezza che riguarda le vite umane”“Il tema del riconoscimento dei figli di coppie omosessuali non è sovrapponibile alla pratica della maternità surrogata”, ha precisato inoltre Baturi, facendo notare che “gran parte di tali pratiche riguardano coppie eterosessuali”. Interpellato sull’utero in affitto, il segretario generale della Cei ha definito tale pratica “inaccettabile, perché con essa, come ha detto il Papa, si rischia la mercificazione della donna, soprattutto delle donne più povere, e di trasformare il figlio in un oggetto di un contratto”.
Abusi. “A novembre – ha annunciato monsignor Baturi – presenteremo il secondo Report nazionale sugli abusi, con i dati sulla totalità delle diocesi italiani”. L’obiettivo del Rapporto, così come di quelli che seguiranno a cadenza annuale, ha spiegato il segretario generale della Cei, è quello di “avere un’evoluzione diacronica del fenomeno e della nostra capacità di affrontarlo. Da novembre ad oggi sono aumentati i Centri di ascolto, mentre già quasi la totalità delle diocesi ha attivato i Centri di tutela per i minori. Siamo ormai vicini a coprire tutto il territorio”.
Messe in tv. Durante la pandemia le Messe in tv sono state “una grande risorsa”, ma ora è bene “recuperare il più in fretta possibile la normalità della vita ecclesiale”. È la risposta di Baturi all’invito del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, a porre fine alle trasmissioni liturgiche via internet, che hanno proliferato durante il Covid. “Le Messe in tv sono nate per consentire la preghiera a chi non è in condizioni di andare in chiesa”, ha ricordato il segretario generale della Cei: “È stata una grande risorsa durante il Covid, perché ha permesso di rompere la solitudine e di creare comunità, non solo nelle celebrazioni liturgiche, ma anche nella catechesi”. “Il problema – ha detto Baturi – è ora recuperare il più in fretta possibile la normalità della vita ecclesiale che non può fare a meno di quella categoria evangelica che si chiama incontro. Verificheremo come ricalibrare le indicazioni nel momento della fine ufficiale della pandemia. È il momento di tornare a pregare insieme”, perché “la preghiera non è un evento a cui si assiste ma a cui si partecipa nell’integralità della propria persona, che è fatta di gesti, di comunione, di condivisione di un incontro, dell’odore dell’incenso…”.