Oggi si ricorda il patrono degli studenti, Giuseppe da Copertino. Un “somaro” in Paradiso

Un “somaro” in Paradiso.

Il 17 giugno del 1603, nacque a Copertino in una stalla, sì in una stalla come Gesù, Giuseppe Maria Desa, un nome che letto così non dice e non svela niente, ma se io vi dicessi Giuseppe da Copertino? Tutti annuirebbero. Sì lo conoscono in tanti il frate che vola! Fra Giuseppe da Copertino aveva questo dono speciale datogli da Gesù: quando pregava, o meglio, gli bastava ripetere il nome di Gesù o di Maria che prendeva il volo, cominciava a lievitare, a staccarsi dal suolo, andava in estasi… come san Filippo Neri e altri santi.

Ma facciamo un passo alla volta. I suoi genitori erano Felice Desa e Franceschina Panaca. Suo padre era il custode dei marchesi di Copertino. In quei giorni con la moglie in quelle condizioni si era dato “alla macchia” perché era ricercato per delle cambiali firmate in favore di amici poco raccomandabili e non pagate. Così Giuseppe si trovò a nascere in una stalla. (A Copertino, il suo paese natale, conservano ancora la stalla). Sua madre, una pia donna, forte ed energica, ricorda il santo dopo la morte di lei, lo crebbe cristianamente e con santi princìpi. A sette anni Giuseppe, come tutti i bambini della sua età, cominciò la scuola, ma la sfortuna o i piani di Dio erano ben altri. Si ammalò gravemente di un tumore cancrenoso e fu costretto a stare a letto per 5 anni e ad abbandonare la scuola. Durante la degenza la mamma gli raccontava le storie di san Francesco d’Assisi, a cui era legata. Otto anni più tardi guarì, grazie, a suo parere, all’intervento divino della Madonna delle Grazie e di san Francesco. L’ambiente era poco sereno e inadatto per un bambino come Giuseppe, trasognato e distratto tanto da meritargli il soprannome di “Boccaperta”. Iniziò a lavorare per conto suo, prima falegname, poi calzolaio, ma fu un disastro, un vero disastro, un fallimento. Dopo qualche tempo il ragazzo trovò lavoro presso il convento dei frati Minori Conventuali detto “della Grottella” per via della vicinanza al santuario della Madonna con il Bambino Gesù a cui Giuseppe era devotissimo. Vista la sua scarsa attitudine allo studio chiese ospitalità presso di loro. Fu respinto per questioni giudiziarie legate al padre. Bussò al convento dei frati Riformati di Casole, ma niente, e quindi quasi sfiduciato arrivò a chiedere nell’agosto del 1620 di essere accolto dai frati Cappuccini, una riforma francescana nata da poco, che lo accolsero come fratello laico. Inviato a Martinafranca con il nome di fra Stefano da Copertino, ma otto mesi dopo fu rimandato dal maestro dei Novizi in famiglia. La motivazione: “non idoneo e inetto a qualsiasi mansione”. Ritentò con i Conventuali, e riuscì grazie alla complicità di uno zio frate e poiché era morto il padre, le guardie lo cercavano per pagare i debiti del padre. Bisognava tenerlo nascosto. Lo trasferirono di notte al santuario della Grottella, gli portavano il cibo di nascosto. Visse come “clandestino di Dio in un bugigattolo, una stanzetta, nei pressi della soffitta del convento. Arrivò finalmente il giorno che venne accolto tra i frati come terziario. Questa condizione lo favoriva nei confronti del “braccio secolare” una sorta di immunità, uno scudo divino. Avrebbe fatto il servo, lo sguattero, il custode degli animali. A 22 anni fu ammesso finalmente trai fratelli laici. Fu lo zio materno, un altro, che lo aiutò con il latino e le altre materie elementari per recuperare un po’ di tempo perso. Non fu facile per lo zio. Giuseppe spesso si incantava a contemplare il soffitto e costringeva lo zio a rifilargli un sonoro calcio nel sedere per destarlo. Riuscì con un po’ di buona lena a dimostrare che con applicazione sarebbe potuto diventare un sacerdote e quindi lo mandarono come chierico, cioè coloro che si preparavano a diventare frati sacerdoti. Fu presentato per ricevere gli Ordini minori: Ostiariato, esorcistato, lettorato… ricevette la tonsura dei capelli il 3 gennaio 1627 e si incamminò, non senza difficoltà, verso il Diaconato. E venne il giorno dell’ammissione al sacerdozio. Aveva studiato tanto sul brano più breve della Bibbia. E la Provvidenza fu ancora sua protettrice. Il vescovo esaminante aprì la Bibbia a caso, proprio quel passo che lui si era preparato e fra Giuseppe passò bene, anche nell’esame del canto. Fu ordinato sacerdote il 28 marzo 1628. L’intervento divino, segno una predilezione tutta particolare era ben chiaro: la consapevolezza di aver ricevuto tutto da Dio diventerà per fra Giuseppe uno stimolo a proseguire in fretta sulla via della santità.

Per qualche tempo fu lasciato a “maturare” alla Grottella. E cominciarono a mostrarsi in lui quei doni divini ricevuti: lievitazioni, estasi, scrutamento dei cuori… si rafforzò quello scambio d’amore tra lui e la “sua mammina celeste”. E la gente cominciò ad amarlo e a venerarlo come un santo. Addirittura c’era chi gli tagliava un pezzetto dell’abito o del cordone o quando era in estasi e non si sarebbe accorto, addirittura la barba. Gli oggetti da lui usati erano un vero portento. Cominciò la sua Via Crucis e il suo Calvario. Per preservarlo il Padre Provinciale lo trasferì da un convento all’altro. E quando la voce arriva a Roma la frittata è fatta. Al suo ritorno a Copertino trovò l’ordine del Santo Uffizio di presentarsi a Napoli al tribunale ecclesiastico. L’accusa: Messianismo! Chi? Frate asino un messianista…  Padre Giuseppe, per la sua grande e profonda umiltà, si era sempre ritenuto un somaro, diceva di se: “fratel Asino”, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace. La Chiesa lo punì, costringendolo a restare chiuso nel convento dove si trovava. Poteva dire Messa ma non incontrare di persona nessuno. Nessuna predica, niente relazioni, ne confessioni.  Da un convento all’altro, Pietrarubbia, Fossombrone, Assisi, Osimo, appena la sua fama lo raggiungeva ecco che veniva segregato in un altro riparo. Accettò comunque sempre tutto nello spirito della santa obbedienza, anche quando gli impedirono di pregare con i suoi confratelli, solendo ripetere: “Amate Dio, perché chi ha carità è ricco e non lo sa”. Riuscirono a incontrarlo in via eccezionale Giovanni Casimiro Waza, che diventò re di Polonia, Giovanni Federico di Sassonia, che abiurò il luteranesimo e si fece fervente missionario tra gli eretici e l’Infanta suor Maria di Savoia, la quale ebbe con padre Giuseppe un nutrito rapporto epistolare. Agli inizi del 1663, predisse che sarebbe morto entro l’anno. Il suo fisico provato dalla vita austera e la disciplina, lo consumava pian piano non risparmiandogli forti febbri e perdite di sangue. I due medici che lo assistevano affermarono che spesso era colto da convulsioni e nei rari momenti sereni aveva ancora lunghe estasi. Il suo volto era raggiante, risplendente come il sole. Entrato in agonia il 18 settembre, ripeteva continuamente: “Oh Signore consuma questo cuore; prendi o Gesù questo cuore.” Morì verso mezzanotte. Nonostante la segregazione in cui era vissuto, fu un tale concorso di popolo, che solo a notte avanzata del 19 il corpo venne deposto in una duplice cassa e la mattina del 20 sepolto sotto il pavimento della cappella dell’Immacolata nella chiesa di san Francesco in Osimo. Beatificato il 24 febbraio del 1753 e canonizzato il 16 luglio del 1767. È considerato patrono degli esaminandi e degli studenti, per il modo con cui riuscì a superare le prove di maturità.

Invito a visitare la bellissima chiesa santuario ad Osimo, che custodisce gelosamente i resti e i luoghi dove ha vissuto, e a Copertino presso Lecce dove i frati conservano il cuore.

 

 

“Vengo a te ad implorare il tuo aiuto, liberami dallo smarrimento intellettuale e dallo scoraggiamento. Sii luce per la mia mente e forza per la mia volontà. Abbatti tutte le mie difficoltà negli studi e negli esami. Amen.” (san Giuseppe da Copertino)