Il perché del carnevale

Ma poi perché chiamarlo grasso? Sin dai tempi che furono, il Carnevale ovvero carnem levare (cioè eliminare la carne), era il banchetto che si teneva nell’ultimo giorno della festività. Tavole imbandite di tutto e di più, deschi tronfi di goloserie di ogni specie, il tutto condito di musica, danze, balli, divertimenti insieme a lascivi comportamenti e di conseguenza facili licenziosità.

Per recuperare a Dio anime di facili costumi e peccatrici, il sacerdote fiorentino san Filippo Neri traslocatosi nella Città eterna, durante il Carnevale si inventò il “giro delle sette chiese”, una sorta di pellegrinaggio notturno di svariati chilometri visitando le principali basiliche romane insieme a giovani e meno giovani.

Il giorno dopo però sarebbe iniziato il lungo tempo di Quaresima con il rito della imposizione delle sacre ceneri. Rito che ancora, per fortuna, tiene banco nelle nostre parrocchie, chiese o monasteri. Perché il rito delle sacre ceneri ancora oggi affascina e attrae così tanto? Non è scomparso del tutto nel cuore del cristiano di oggi il desiderio di ritornare ai fasti di un tempo, alla sua religiosità, alle sue devozioni.

Allora, a buon ragione venga pure il Carnevale, ma lasci a ciò che segue tutto lo spazio e l’attenzione dovuta, visti anche i tempi difficili con la guerra nel cuore dell’Europa.

Ma ahimè, sono certo e lo dico a malincuore che dopo le Ceneri e la Settimana Santa, tutto tornerà come prima. A buon ragione borbottava la voce-guida in uno dei film della serie su don Camillo: “Passata la festa, gabbato lo santo”. Ma forse l’attualità del conflitto tra Russia e Ucraina ci aiuterà a essere più sobri e meno spensierati. Purtroppo.