Papa Francesco: a Urbi et Orbi, “sia garantito l’accesso ai vaccini e alle cure” perché “siamo tutti sulla stessa barca”

“In questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del Coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti… No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni”. Lo ha detto papa Francesco nel tradizionale Messaggio natalizio ai fedeli prima di impartire la Benedizione “Urbi et Orbi” nella Solennità del Natale del Signore: “Il Bambino di Betlemme ci aiuti allora ad essere disponibili, generosi e solidali, specialmente verso le persone più fragili, i malati e quanti in questo tempo si sono trovati senza lavoro o sono in gravi difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia, come pure le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche”. Quindi il Papa si rivolge a coloro che hanno responsabilità politiche e di governo in nome di “una rinnovata cooperazione internazionale, a cominciare dall’ambito sanitario, affinché a tutti sia garantito l’accesso ai vaccini e alle cure. Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca”.

“Nel giorno in cui il Verbo di Dio si fa bambino, volgiamo lo sguardo ai troppi bambini che in tutto il mondo, specialmente in Siria, in Iraq e nello Yemen, pagano ancora l’alto prezzo della guerra. I loro volti scuotano le coscienze degli uomini di buona volontà, affinché siano affrontate le cause dei conflitti e ci si adoperi con coraggio per costruire un futuro di pace. Sia questo il tempo propizio per stemperare le tensioni in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale”. È l’invito del Papa prima dell’invocazione: “Gesù Bambino risani le ferite dell’amato popolo siriano, che da ormai un decennio è stremato dalla guerra e dalle sue conseguenze, ulteriormente aggravate dalla pandemia. Porti conforto al popolo iracheno e a tutti coloro che sono impegnati nel cammino della riconciliazione, in particolare agli yazidi, duramente colpiti dagli ultimi anni di guerra. Rechi pace alla Libia e consenta che la nuova fase dei negoziati in corso porti alla fine di ogni forma di ostilità nel Paese”.

“Il Bambino di Betlemme doni fraternità alla terra che lo ha visto nascere. Israeliani e palestinesi possano recuperare la fiducia reciproca per cercare una pace giusta e duratura attraverso un dialogo diretto, capace di vincere la violenza e di superare endemici risentimenti, per testimoniare al mondo la bellezza della fraternità. La stella che ha illuminato la notte di Natale – prosegue il Santo Padre – sia guida e incoraggiamento per il popolo libanese, affinché, nelle difficoltà che sta affrontando, col sostegno della Comunità internazionale non perda la speranza. Il Principe della Pace aiuti i responsabili del Paese a mettere da parte gli interessi particolari e ad impegnarsi con serietà, onestà e trasparenza perché il Libano possa percorre un cammino di riforme e proseguire nella sua vocazione di libertà e di convivenza pacifica. Il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale e dei Paesi coinvolti a proseguire il cessate-il-fuoco nel Nagorno-Karabakh, come pure nelle regioni orientali dell’Ucraina, e a favorire il dialogo quale unica via che conduce alla pace e alla riconciliazione”.

“Il Divino Bambino allevii la sofferenza delle popolazioni del Burkina Faso, del Mali e del Niger, colpite da una grave crisi umanitaria, alla cui base vi sono estremismi e conflitti armati, ma anche la pandemia e altri disastri naturali; faccia cessare le violenze in Etiopia, dove, a causa degli scontri, molte persone sono costrette a fuggire; rechi conforto agli abitanti della regione di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, vittime della violenza del terrorismo internazionale; sproni i responsabili del Sud Sudan, della Nigeria e del Camerun a proseguire il cammino di fraternità e di dialogo intrapreso”. Il Papa si rivolge anche al Continente americano “particolarmente colpito dal coronavirus, che ha esacerbato le tante sofferenze che lo opprimono, spesso aggravate dalle conseguenze della corruzione e del narcotraffico. Aiuti a superare le recenti tensioni sociali in Cile e a porre fine ai patimenti del popolo venezuelano”.

“Il Re del Cielo protegga le popolazioni flagellate da calamità naturali nel sud-est asiatico, in modo particolare nelle Filippine e in Vietnam, dove numerose tempeste hanno causato inondazioni con ricadute devastanti sulle famiglie che abitano in quelle terre – aggiunge -, in termini di perdite di vite umane, danni all’ambiente e conseguenze per le economie locali. E pensando all’Asia, non posso dimenticare il popolo Rohingya: Gesù, nato povero tra i poveri, porti speranza nelle loro sofferenze”.

“In questo giorno di festa rivolgo un pensiero particolare a quanti non si lasciano sopraffare dalle circostanze avverse, ma si adoperano per portare speranza, conforto e aiuto, soccorrendo chi soffre e accompagnando chi è solo”, conclude il Santo Padre: “Gesù è nato in una stalla, ma avvolto dall’amore della Vergine Maria e di San Giuseppe. Nascendo nella carne, il Figlio di Dio ha consacrato l’amore familiare. Il mio pensiero va in questo momento alle famiglie: a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa. Per tutti il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità”.