Dalla Chiesa
Papa Francesco: Pascite gregem Dei, “la responsabilità della corretta applicazione della disciplina penale è del Pastore”
“In passato, ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso – ove le circostanze e la giustizia lo richiedano – alla disciplina sanzionatoria. La negligenza di un Pastore nel ricorrere al sistema penale rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione”. Lo scrive papa Francesco nella costituzione apostolica “Pascite gregem Dei” con cui viene riformato il libro sesto del Codice di diritto canonico. Un testo che fa riferimento al corpo di norme, regole di condotta che si è data nel tempo la Chiesa. “Dovendo regolare la vita della comunità nello scorrere del tempo, è necessario che tali norme siano strettamente correlate con i cambiamenti sociali e le nuove esigenze del Popolo di Dio, il che rende talora necessario modificarle e adattarle alle mutate circostanze”, osserva il Pontefice. E, “per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo”, è apparsa “evidente” la necessità di sottoporre a revisione anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di diritto canonico.
Al termine di uno studio per una revisione della normativa penale condotto in maniera collegiale dal Pontificio Consiglio per i testi legislativi, che aveva ricevuto mandato da Benedetto XVI nel 2007, la bozza finale è stata trasmessa al Papa. “L’osservanza della disciplina penale è doverosa per l’intero popolo di Dio, ma la responsabilità della sua corretta applicazione compete specificamente ai Pastori e ai superiori delle singole comunità – sottolinea papa Francesco -. È un compito che non può essere in alcun modo disgiunto dal munus pastorale ad essi affidato, e che va portato a compimento come concreta ed irrinunciabile esigenza di carità non solo nei confronti della Chiesa, della comunità cristiana e delle eventuali vittime, ma anche nei confronti di chi ha commesso un delitto, che ha bisogno all’un tempo della misericordia che della correzione da parte della Chiesa”.
“Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae”. Lo prevede il canone 1397 del nuovo libro sesto del Codice di diritto canonico. Il canone 1398, invece, dispone che “sia punito con la privazione dell’ufficio e con altre giuste pene, non esclusa, se il caso lo comporti, la dimissione dallo stato clericale, il chierico che commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo con un minore o con persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o con quella alla quale il diritto riconosce pari tutela”. Stesse pene per il chierico che “recluta o induce un minore, o una persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o una alla quale il diritto riconosce pari tutela, a mostrarsi pornograficamente o a partecipare ad esibizioni pornografiche reali o simulate”; che “immoralmente acquista, conserva, esibisce o divulga, in qualsiasi modo e con qualunque strumento, immagini pornografiche di minori o di persone che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione”. Destinatari del provvedimento anche membri di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica, e qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa, che siano colpevoli di questo delitto.