Dalla Chiesa
Perdono di Assisi. Monsignor Sorrentino: “Ci può aiutare a ‘intenerire’ i cuori e a ritessere relazioni di amicizia e fraternità”
“Ripartire dalla Porziuncola, ripartire dal Vangelo”: è il titolo della nuova lettera pastorale di monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, ma anche un invito che il presule rivolge alla diocesi nel cammino “verso il nuovo anno pastorale e l’VIII centenario della morte di Francesco”. La lettera è stata scritta in occasione del “Perdono degli assisani”, antica tradizione che prevede il pellegrinaggio a piedi dal centro della città fino a Santa Maria degli Angeli, a partire dalle 5,30 del mattino. Del Perdono di Assisi e dello slancio missionario che parte dalla Porziuncola abbiamo parlato con mons. Sorrentino.
Eccellenza, perché quest’anno ha voluto riprendere la tradizione del pellegrinaggio degli assisani il 1° agosto?
In questi ultimi anni abbiamo avuto diverse opportunità per riscoprire la grazia del “perdono” della Porziuncola. Il 4 agosto 2016, nell’VIII centenario del Perdono, fu pellegrino alla Porziuncola lo stesso Papa Francesco. Tradizionalmente, nel pomeriggio del 1° agosto, una rappresentanza della Città di Assisi, con le sue autorità, si reca in pellegrinaggio alla Porziuncola. Abbiamo provato ad incrementare questo pellegrinaggio pomeridiano. Ci si è ora ricordati di una tradizione che si era spenta: il “pellegrinaggio degli assisani”, organizzato nelle prime ore del mattino. Lo faremo rivivere. È bello che i concittadini di Francesco siano i primi a ricevere il “perdono” che il Santo ottenne per tutti. Un pellegrinaggio che fa gioco anche con un impegno specifico del nostro piano pastorale diocesano: vogliamo quest’anno realizzare una grande missione, per riportare il Vangelo nelle case, in sintonia con l’Anno dell’Amoris laetitia voluto dal Papa per rilanciare il valore fondamentale della famiglia. Questo metterci anche fisicamente in cammino è un segno che ci dà slancio.
La festa del perdono coincide quest’anno con l’VIII centenario del Capitolo della “Regola non bollata”, un momento importante nel percorso di avvicinamento al centenario della morte di San Francesco (2026): come la Chiesa e la citta di Assisi si preparano a questa data?
In occasione della Pentecoste di ottocento anni fa, si celebrò alla Porziuncola un grande Capitolo al quale parteciparono, provenienti da tutta Europa, circa 3.000 frati. Francesco desiderava dare loro una regola che avesse il sapore del Vangelo. È passata alla storia come “Regola non bollata”, per distinguerla da quella che il Papa approvò successivamente (Regola bollata).Quel primo testo proposto da Francesco rimane un documento molto ispirante, uno stimolo per tutti, non solo per i frati, a riscoprire il Vangelo. A leggerlo, si rimane stupiti dal fatto che è pensato come una tessitura di brani evangelici. Quel Capitolo fu una grande esperienza non solo per i francescani, ma anche per gli assisani, che si diedero molto da fare per assicurare ai frati ciò di cui avevano bisogno e furono gratificati dalla predicazione di Francesco. Cominciavano così gli ultimi cinque anni della vita del Santo. Inizia anche per noi un “avvicinamento” al centenario della sua morte che vorremo vivere in sintonia con altre diocesi interessate e tutte le famiglie francescane.
Cosa significa per Assisi essere la città che ha dato i natali al patrono d’Italia? E qual è la sua missione oggi?
Assisi “vive” di Francesco, ma non può limitarsi ad essere “orgogliosa” di questo suo grande figlio. Deve essere toccata dal suo carisma e tradurlo in testimonianza per i tanti pellegrini e turisti che giungono nella nostra città. In questi ultimi anni ci sono stati momenti di grande riscoperta di questo grande patrimonio spirituale, con eventi che stanno ulteriormente accrescendo il fascino della Città. Ce n’era bisogno, se si guarda a ciò che sta accadendo. Quando, nel 1939, San Francesco fu dichiarato patrono d’Italia, il nostro Paese si proclamava cattolico, fino a fare di questa connotazione un vessillo strumentale dello Stato autoritario. Che ne è stato, in un secolo, dell’Italia cattolica?
Oggi c’è bisogno di ri-annunciare la fede.
La “missione” di Assisi è accogliere quanti vengono qui a cercare un respiro spirituale e farlo, il più possibile, con un coinvolgimento interiore e una testimonianza vissuta. Riuscire in questa impresa non è facile. Ma è nostra grande responsabilità.
Per San Francesco la Chiesa rinasce quando si rituffa nel Vangelo, deperisce quando si allontana da esso. Ed è quello che continuamente ci dice anche oggi Papa Francesco. Quest’anno il perdono di Assisi aiuterà la Chiesa di Assisi a rinnovare il suo slancio missionario in un mondo sempre più secolarizzato?
Lo spero tanto. È da tempo che stiamo insistendo, nel nostro programma pastorale, per ridare slancio missionario al nostro modo di essere Chiesa.
Dobbiamo essere una Chiesa che si rimette in strada, torna nelle case.
Il nostro progetto delle “famiglie del Vangelo” mira proprio a questo. Nel Capitolo della Regola non bollata Francesco elaborò un disegno missionario, diramando i suoi frati in tutta Europa. Se torniamo al Vangelo, ci accorgeremo che esso risponde, come sempre, agli aneliti profondi del cuore umano. È vero: la secolarizzazione sta affievolendo il senso religioso, internet ci inonda di messaggi che tanto spesso hanno ben poco a che fare con Dio. Ma prima o poi si ha bisogno di riflettere, di prendere respiro. Sono i momenti in cui la voce di Dio ci giunge più forte. Dobbiamo seminare il Vangelo a piene mani, sapendo che il Signore ci anticipa nei cuori.
In una società sempre più divisa – basti pensare alla forte contrapposizione sui vaccini – quale valore ha oggi il perdono? Cosa ci può insegnare San Francesco?
È un paradosso: nel tempo della “rete”, che ci connette da un capo all’altro del mondo, le relazioni diventano sempre più difficili. Troppe diffidenze, distanze e contrapposizioni. C’è bisogno di ritessere relazioni di amicizia e fraternità. L’esperienza del perdono di Dio – perdono sovrabbondante, come nell’indulgenza della Porziuncola – ci può aiutare a “intenerire” i nostri cuori. C’è davvero bisogno di tanta umiltà e di tanta carità per restituire alla convivenza il suo tono migliore. Vale anche nella Chiesa.
San Francesco è un grande maestro della comunione.
Non a caso il Santo Padre ha voluto firmare l’enciclica “Fratelli tutti” presso la sua tomba. È ora di puntare con convinzione alla fraternità. Un tema che ha avuto anche il suo profilo “laico”, fin dalla rivoluzione francese, ma che trova le sue radici profonde e la sua linfa vitale solo quando ci si ricorda che abbiamo tutti un unico Padre.