Dalla Chiesa
Francesco e Chiara: povertà, castità e obbedienza, il passepartout per l’eternità
Francesco e Chiara di Assisi, due colonne del movimento mendicante-pauperistico del XIII secolo che hanno fatto sfracelli nella sequela Christi. Francesco e Chiara uno seme e l’altra sua prima pianticella. Francesco e Chiara magneti spirituali durevoli nei secoli, oggi, dopo circa 8oo anni, ancora attirano come calamite ragazzi, giovani e non più con la loro spiritualità che ha fatto della povertà-castità-obbedienza, come già citato, un veicolo sicuro per l’Eternità.
Un passo alla volta.
Chiara nasce ad Assisi, in una famiglia nobile (majores) il 16 luglio 1194 da messer Favarone di Offreduccio-Scifi e da Ortolana Fiumi. Dopo di lei ebbero altre due figlie Agnese e Beatrice. Tutte le donne di casa compresa Pacifica, più amica che dama di compagnia. Già da un po’ di tempo Francesco figlio di quel Pietro di Bernardone, ricco venditore di stoffe e piccolo usuraio, aveva cominciato a “dare di matto”. Se prima era ricercato da tutti i giovani come il capo dei divertimenti e delle feste e “non ce ne era per nessuno”, scanzonato e ribelle, donnaiolo e vagabondo, innamorato dei racconti dei cavalieri… beh, aveva smesso di darsi alla follia per buttarsi in religione. Girava voce che il Crocifisso della chiesina diroccata di san Damiano gli avesse parlato e avesse chiesto di risistemare la chiesa. E questa fu per lui la prima “crociata”, perché cominciò a girare per Assisi chiedendo pietre per la chiesa… e dopo san Damiano, san Pietro, la Porziuncola, dedicata alla Regina degli Angeli e santa Maria Maggiore. Era diventato il restauratore di rovine. E questo fu l’evento che scatenò il caos tra i giovani. I primi due furono Pietro o Piero Cattani un giurista e Bernardo di Quintavalle un notaio, canonico… e così via.
I giovani della “crema” della città cominciarono a seguire l’esempio di Francesco. E fu così per Chiara. Spesso nelle sue passeggiate per le vie di Assisi, accompagnata da Pacifica e da Bona di Guelfuccio, amica e parente di Chiara, si fermava ad ascoltare i sermoni del “giullare di Dio”. Decisa a seguire il suo esempio, per un po’ di tempo meditò “sul quando e sul come” agire. Ne parlò con Francesco diverse volte. Sicuramente l’avrà sconsigliata perché non era una vita per una giovane come lei. Ma lei era una tosta, una dura di testa.
Domenica delle Palme, Chiara, come sempre, ma in questa occasione, in modo particolare, non si lasciò sfuggire di vestirsi nel modo più chic. Non doveva dare nell’occhio. Lei era bellissima e di buona famiglia e i giovani “galletti” delle alte famiglie le facevano il filo a infilarle l’anello all’anulare. Si reca alla funzione. Era tradizione che il vescovo consegnasse lui stesso la palma alle ragazze in età da marito. Sopraffatta da altre persone o rimasta “impiantata” nei suoi pensieri e progetti, resta indietro al suo posto, nello scranno di famiglia. Il vescovo vedendola impacciata, scese i gradini e le si avvicinò porgendole una palma. Era il segno che attendeva da Dio. Dio approvava.
La notte stessa, Chiara fugge per sempre da casa. Usò la porta detta dei morti, una fessura che usavano per far passare i feretri quando dovevano essere portati al cimitero. Era una porta durissima, piena di ostacoli. Non si sa come, ma ci riuscì. E giù per il viottolo che conduce nei campi e verso la Porziuncola, la sede di Francesco. Spogliata delle vesti, indossò il rude saio come i frati e inginocchiatasi di fronte l’altare si fece tagliare i capelli in segno di totale consacrazione a Dio. A questo punto Chiara non può rimanere tra i frati, si griderebbe allo scandalo e c’è da aspettarsi la reazione dei parenti. A proposito, il più coerente e deciso a riportare Chiara a casa è lo zio Monaldo, il padrino e tutore.
Il mattino, notata l’assenza, scatta la ricerca. Chiara è stata intanto accompagnata al monastero benedettino di san Paolo e poi a sant’Angelo di Panzo. Questo per il timore di ritorsioni da parte della famiglia e del vescovo, (con pene severe da subire). In tutto questo tran-tran e sballottamento della povera Chiara, novella sposa di Cristo, ci troviamo nei pressi, (secondo alcune fonti), a san Damiano, la chiesa ristrutturata. Chiara è in chiesa, in ginocchio che prega con al suo fianco Francesco. All’improvviso entrano scalciando e urlando Monaldo e i suoi sgherri. Chiara terrorizzata si aggrappa all’altare tenendo un lembo della tovaglia nella mano e con l’altra si scopre il capo dal velo mostrando il taglio dei capelli. Qualcuno grida: “non toccarla! C’è la scomunica, oramai non appartiene più alla famiglia…” Da quella porta Chiara non uscirà più. San Damiano sarà il tempio di Chiara e delle Povere Dame, poi convertite in Clarisse.
Qui Chiara accoglierà, come avevo accennato prima, Agnese, salvata da un angelo dalla furia di Monaldo, che deciso a non perdere anche la seconda nipote, alza il braccio armato dal guanto di ferro, nel tentativo di rifilargli una sberla, ma il messo di Dio glielo blocca a mezz’aria paralizzandolo. E a Monaldo non resta che uscire con un pugno di mosche nella mano (quella rimasta buona). A san Damiano arriveranno diverse sorelle: Beatrice, la terza di casa Offreduccio, la madre Ortolana, Bona, Pacifica.
Le mura di san Damiano vedranno il miracolo del pane moltiplicato, dei Saraceni scacciati dalla luce proveniente dalla teca del Santissimo Sacramento! Qui Chiara accoglierà diverse volte Francesco per medicarlo e per consolarlo dei tanti dubbi. Qui arriveranno, per un ultimo saluto le spoglie mortali di Francesco, prima di essere riportato alla Porziuncola. Avvenne un altro miracolo per cui Chiara viene considerata “patrona della televisione”. Era una notte di Natale, tutta la comunità del convento fondato da Chiara si riunì nella cappella per la celebrazione, eccetto lei, prostrata dalla malattia nel letto. Molto triste per non poter stare vicino alla comunità in quel giorno, Chiara si mise a pregare Gesù Bambino, manifestandogli il dolore di non poter partecipare. E avvenne che, in modo mirabile, sul muro della stanza apparve come proiettata tutta la Messa. Quando le altre sorelle tornarono dalla loro fondatrice, questa raccontò loro dettagliatamente tutto quanto era successo durante la celebrazione. Di fronte allo stupore delle religiose, la madre Chiara spiegò che Dio le aveva concesso la grazia di vedere le scene della cerimonia, nello stesso istante in cui esse si svolgevano nella cappella. E non fu questa l’unica volta. Anche in occasione della morte di san Francesco, lo stesso dono mistico la fece assistere ai riti funebri.
Chiara morì l’11 agosto del 1253, piegata in due dalle penitenze e dai digiuni, ma stringendo tra le mani la bolla di Innocenzo IV, che volle essere di persona a consegnargliela. Questo “privilegium paupertatis“, il privilegio della povertà, concedeva a Chiara e alle sue sorores di vivere senza rendite di capitali, mobili o immobili, confidando solo nella Provvidenza del Signore.
Poco prima della morte di frate Francesco, San Damiano passò dalla giurisdizione vescovile sotto la protezione della Santa Sede. La tomba di santa Chiara fu pensata e voluta fuori la porta urbica, nella chiesa di San Giorgio, dove fu già sepolto provvisoriamente Francesco e dove fu tumulata la Santa il 12 agosto 1253. La chiesa di San Giorgio era appena fuori la porta omonima della città, poco più in basso della strada che, uscendo dalla città, si dirigeva “versus Ispellum”; A tre anni dalla morte e a un anno dalla canonizzazione di santa Chiara si iniziò nel 1257 con la costruzione della chiesa e del convento attiguo delle Clarisse, che dal 1212 avevano vissuto a San Damiano.