Dalla Chiesa
L’umano è «divinizzato» e il divino «umanizzato».
Giovanna Francesca Frémiot nasce a Digione il 12 dicembre nel 1572. Digione è la capitale della storica regione della Borgogna, situata nella Francia orientale, una delle principali zone di produzione vinicola del Paese. Sposa, a vent’anni, Cristoforo II, il barone De Chantal.
Il loro è un matrimonio cristiano. Verrà vezzeggiata, con stima e simpatia, con il nomignolo “la dama perfetta” per quel modo insolito, a quei tempi e in quel contesto, di prodigarsi (nella loro tenuta di Boubilly) e per le attenzioni e premure che riserva al suo sposo. Da questo matrimonio quasi perfetto i due ebbero sei figli: i primi due moriranno alla nascita. I due non si abbatterono perché il Signore concederà a loro la possibilità di diventare genitori. Arriveranno Celso Benigno, Maria Amata, Francesca e Carlotta, che educarono, soprattutto lei, alla pietas cristiana. Nei primi anni del nuovo secolo, piomba in Francia, non risparmiando la regione borgognona, una violenta carestia. Giovanna dovrà darsi da fare per aiutare chi ha meno fortuna della sua famiglia, dando fondo alle riserve di cereali, grano, mais. “Le disgrazie non vengono mai da sole”. L’amato consorte rimane vittima in una battuta di caccia. Un colpo di fucile lo stende per sempre. Rimasta madre e vedova troppo presto di quattro creature, a 29 anni, decise di consacrarsi al Signore, ma quella situazione, in quel momento della sua vita non glielo permette. Si dedicò a opere di carità, in modo particolare verso poveri e indigenti. Ora non è più chiamata la “dama perfetta” ma la sua gentilezza e bontà d’animo le trasforma il vezzo di ieri nel nuovo nome “la nostra buona signora”. Fatica in questi anni a capire cosa il Signore vuole da Lei e non è aiutata in modo adeguato dal suo confessore. “Le vie del Signore non sono le nostre vie..” (Is 55,8). Il Signore le farà incontrare colui che le trasformerà la vita. Invitata a messa a Digione, da suo padre, si incuriosisce, con molto interesse del vescovo di Ginevra, la cui fama di diffonde sempre più. Francesco di Sales, le parlerà poi in privato il 5 marzo 1604. Nascerà una profonda amicizia tra i due. Lui diverrà il suo maestro e mentore:
In una lettera inviata al vescovo ginevrino Giovanna scrive: «… tutto quello che di creato c’è quaggiù non è niente per me se paragonato al mio carissimo Padre… Un giorno mi comandaste di distaccarmi e di spogliarmi di tutto. Oh Dio, quanto è facile lasciare quello che è attorno a noi, ma lasciare la propria pelle, la propria carne, le proprie ossa e penetrare nell’intimo delle midolla, che è, mi sembra, quello che abbiamo fatto è una cosa grande, difficile e impossibile se non alla grazia di Dio».
Assieme al direttore spirituale diede inizio all’Ordine della Visitazione di Santa Maria. Naturalmente aveva firmato con un atto notarile, che si spogliava di tutti i beni a favore dei figli. Rimarrà sempre “madre”, continuando ad amare profondamente e teneramente i suoi figli. Lascia la famiglia e parte per Annecy, in Alta Savoia. È il 6 giugno 1610. Assieme a due compagne di questa nuova vita, Giacomina Favre e Giovanna Carlotta de Bréchard. L’intento è mettere insieme un gruppo di donne, forgiate nella preghiera e nel servizio di assistenza a domicilio a coloro che avevano più bisogno. Il suo esempio “esplode”, irradiando il circondario e in seguito tutta la Francia. Francesco di Sales la abbandona alla Provvidenza, morendo il 28 dicembre del 1622 lasciandola “sola” alla guida di tutta la nuova congregazione che nei vent’anni successivi aprirà 87 case visitandine. Nessun santo che si conosca a memoria d’uomo è morto ”in salute”. La nostra santa si consuma tutta “nell’amore di opera e nell’opera di amore”. Il Signore che l’ha provata, come l’oro nel crogiuolo (Sir 2, 1-18) e l’accoglierà tra le sue braccia amorose il 13 dicembre 1641 nel monastero di Moulins.
L’Amore di Dio dilania l’anima, il cuore e poi di conseguenza tutto il corpo.
L’Amore di Dio è un “contagio” mortale da cui non si guarisce, non c’è antidoto né rimedio.