Il giorno di santa Monica, la madre di Agostino

“Dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna…”

Ostia. Chiesa di sant’Aurea, 9 aprile del 1430. Un feretro si muove in direzione Roma capitale. Sono i resti mortali di Monica, la madre del vescovo Agostino. Aveva lasciato detto al figlio, in particolare di non darsi troppa pena del luogo della sepoltura, ma di ricordarsi di lei all’altare del Signore. Fecero di più. Sono portate nella chiesa di San Trifone martire, in Posterula a Campo Marzio, (rione sant’Eustachio, nei pressi di Piazza Navona) e poste in un sarcofago pregiato opera di Isaia da Pisa, noto scultore del tempo di fama nazionale. Dal XV secolo la chiesa sarà ristrutturata e ampliata con annesso convento dagli Agostiniani, che decisero di dedicarla al santo vescovo di Ippona. Monica, una donna di stirpe bèrbera, ma appartenete alla classe media africana, romana di lingua e di cultura latina. Educata con severità e disciplina da una anziana serva. Nacque a Tagaste nel 331. Come avevo accennato ieri, fu data sposa in giovane età Patrizio Aurelio, pagano più per pigrizia che per convinzione, funzionario dell’amministrazione comunale, scorbutico, lunatico, dedito al vino e ai divertimenti e ai piaceri della carne. Donna riservata, dotata di bontà d’animo, di buoni costumi, equilibrata e generosa con i poveri, dolce, ma di forza d’animo. Riuscì a convertirlo e a farlo battezzare in tempo prima della morte di lui, nel 371. Rimasta vedova, si dedicò completamente ai tre figli, in modo particolare alla loro crescita spirituale. Monica sperava per il figlio più grande un futuro radioso, in grande spolvero, ma rimase delusa. Agostino aveva scelto diversamente. Studi, donne, viaggi, insegnamenti e divertimenti e un figlio a soli 18 anni, Adeodato. “Illa”, questo fu lo pseudonimo datogli per identificare la madre di Adeodato. L’anonimato fu un salvacondotto per la ragazza, che visse accanto a lui per ben quindici anni. Agostino, fu messo alla porta dalla madre Monica, dovette arrangiarsi trovando un alloggio in casa di Romaniano che gli costruì un futuro da insegnante di retorica. Si trasferisce a Roma. Con uno stratagemma riesce a liberarsi della pesante e amorevole figura della madre. Monica rimane sola in Africa, passa le notti in preghiera sulla tomba di san Cipriano. Poi prende la decisione di partire per Roma. Approdata, con i due figli più piccoli, Navigio e una bambina di cui non si saprà mai il nome, sulle rive del Tevere, sapendo che il figlio aveva trovato lavoro come insegnante, sempre di retorica. Quando si rincontreranno a Milano, 24 o 25 aprile del 387, (dopo la conversione, l’anno precedente) giunge il sospirato battesimo, del primo figlio e del nipote e di altri parenti.

Agostino non mancò di raccontare alla madre (in lacrime per la commozione e la gioia di averlo riavuto trasformato) le sue peripezie: il disastro economico a Roma, i trucchi e gli inganni dei Manichei.. Poi l’occasione della vita: una cattedra a Milano, la grande città al confine con le Alpi. (Il prefetto di Roma, Quinto Onorio Simmaco, dandogli l’opportunità di insegnare retorica, sperava di ridimensionare il vescovo Ambrogio, ma la catechesi e la predicazione di quest’ultimo toccava i cuori della gente facendo molti seguaci). Aveva vinto lei. “Non può essere che il figlio di così tante lacrime vada perduto” disse il prelato alla madre in uno dei loro incontri. Le lacrime, i digiuni le preghiere, le suppliche, per rivedere il figlio convertito hanno toccato il cuore di Dio, che è Padre e anche Madre. Un abbraccio lungo una vita, e baci, baci e carezze a quel figlio riavuto “sano e salvo”. Chissà le chiacchierate tra i due durante il tragitto da Milano a Roma. Ad Ostia affittarono una casa. C’era una nave che sarebbe partita a giorni per l’Africa. Poi all’improvviso un fulmine a ciel sereno spezza la gioia. Monica si ammalò gravemente. Una febbre improvvisa. Era il 27 agosto dello stesso anno. Su quella nave lei, Monica, non salirà. Quattro mesi di gioia e poi l’ultimo abbraccio. Viene sepolta in una chiesa lì vicino. Agostino poi salperà per Ippona.

“La mamma è sempre la mamma. Tra la madre e i figli c’è un rapporto speciale che va oltre i sentimenti, un rapporto epidermico, si sente nel cuore di carne, nei nervi, nelle vene, in tutto il corpo… Come per una madre vedere il figlio su di un letto, grave… non ci sono parole di conforto. Niente di questo mondo può risanare un cuore infranto. Una madre si augura di essere seppellita dal figlio e non viceversa. Il dolore genera una crepa insanabile. Per una madre il proprio figlio è la vita stessa, è tutto. Ora capisco Monica,” (M.P.)