Coronavirus. Papa Francesco all’udienza: “La preghiera non si può fare con le calcolatrici””

La preghiera è “nostalgia di un incontro” con un Dio che “non conosce l’odio”. “È sempre vicino alla porta del nostro cuore”, con la pazienza di un padre e di una madre insieme. Lo ha spiegato il Papa, che nella seconda catechesi dedicata alla preghiera – trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca del Palazzo apostolico – ha affermato che la preghiera appartiene a tutti e “non si può fare con le calcolatrici”. Nei saluti, Francesco ha ricordato l’anniversario delle prime apparizioni della Madonna di Fatima e l’attentato a Giovanni Paolo II, annunciando ai fedeli che lunedì prossimo, 18 maggio, alle 7 celebrerà una Messa davanti alla sua tomba in occasione del centenario della nascita, come abbiamo scritto già questa mattina (vedi pezzo a fianco).

Nella catechesi, il Papa ha sondato in profondità ciò che accade quando preghiamo:

“Le emozioni pregano, ma non si può dire che la preghiera sia solo emozione. L’intelligenza prega, ma pregare non è solo un atto intellettuale. Il corpo prega, ma si può parlare con Dio anche nella più grave invalidità. È dunque tutto l’uomo che prega, se prega il suo cuore”.

“La preghiera è uno slancio, è un’invocazione che va oltre noi stessi”, le sue parole: “qualcosa che nasce nell’intimo della nostra persona e si protende, perché avverte la nostalgia di un incontro. Quella nostalgia che è più di un bisogno, più di una necessità: è una strada”.  “La preghiera è la voce di un ‘io’ che brancola, che procede a tentoni, in cerca di un ‘Tu’”: l’esempio scelto da Francesco:

“L’incontro tra l’io e il tu non si può fare con le calcolatrici. È un incontro umano,  e si procede a tentoni tante volte per trovare il ‘tu’ che il mio ‘io’ sta cercando”.  

La preghiera del cristiano, invece, “nasce invece da una rivelazione, entra in relazione con il Dio dal volto tenerissimo, che non vuole incutere alcuna paura agli uomini”. È questa, per il Papa, la prima caratteristica della preghiera cristiana: “Se gli uomini erano da sempre abituati ad avvicinarsi a Dio un po’ intimiditi, un po’ spaventati da questo mistero affascinante e tremendo, se si erano abituati a venerarlo con un atteggiamento servile, simile a quello di un suddito che non vuole mancare di rispetto al suo signore,  i cristiani si rivolgono invece a Lui osando chiamarlo in modo confidente con il nome di ‘Padre’. Anzi, Gesù usa l’altra parola: ‘Papà’”.

“Il cristianesimo ha bandito dal legame con Dio ogni rapporto feudale”, la tesi di Francesco: nel patrimonio della nostra fede non sono presenti, infatti, “espressioni quali sudditanza, schiavitù o vassallaggio, bensì parole come alleanza, amicizia, promessa, comunione, vicinanza”.

“A Dio possiamo chiedere tutto, spiegare tutto, raccontare tutto”, garantisce il Papa:  “Non importa se nella relazione con Dio ci sentiamo in difetto: non siamo bravi amici, non siamo figli riconoscenti, non siamo sposi fedeli. Egli continua a volerci bene”. “Dio è alleato fedele: se gli uomini smettono di amare, Lui però continua a voler bene, anche se l’amore lo conduce al Calvario”, sottolinea Francesco:

“Dio è sempre vicino alla porta del nostro cuore. Aspetta che gli apriamo, alle volte bussa pure, ma non è invadente, aspetta. La pazienza di Dio con noi è la pazienza di un papà e di una mamma, tutti insieme. E quando bussa, lo fa con tenerezza e con tanto amore”. Perché  “non conosce l’odio: è odiato ma non conosce l’odio, conosce solo amore.

Questo è il Dio al quale preghiamo, questo è il nucleo incandescente di ogni preghiera cristiana. Il Dio di amore, il nostro Padre, che ci aspetta e ci accompagna”.