Sinodo per l’Amazzonia. Ruffini: “A volte ci vuole tempo per essere capiti”

“Il Sinodo è la Chiesa in cammino. È un cammino faticoso. Non un’arrampicata”. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, sceglie questa metafora per stilare un bilancio per il Sir su come comunica, e come è stato recepito dai comunicatori, il Sinodo per l’Amazzonia, arrivato in dirittura finale. “Il modo in cui comunica è più un cosa che un come”, avverte. E ammette: “Non è una cosa facile da comprendere un Sinodo, in un tempo, il nostro, caratterizzato dall’istantaneità, dalla logica binaria: on-off, amico-nemico”.

Come comunica il Sinodo? Quali sono state le scelte comunicative che lo caratterizzano rispetto ai Sinodi precedenti?

Credo che il Sinodo stia comunicando l’urgenza di una conversione ecologica integrale, ci stia dicendo che tutto è collegato, che nessuno si salva da solo, che nessun posto è lontano e che di nessun nostro fratello possiamo dire: sono forse io che devo occuparmi di lui? Il Sinodo ci sta dicendo che non possiamo dirci cristiani, non possiamo dirci cattolici se non ci facciamo carico del bene comune, cioè di tutti. In questo senso anche il modo in cui comunica è un cosa più che un come. Perché, al di là dei pensieri singoli, c’è qualcosa che li trascende: ed è il pensiero comunitario, comunionale, di un’assemblea che non è un Parlamento, ma appunto una comunità in cammino, una comunione, la comunione ecclesiale. In questo senso, quel che sta comunicando è un pensiero nel mentre che si forma, un cammino nel mentre che lo si percorre: è un processo.

Se dovesse fare un bilancio di come il Sinodo è stato accolto dai media, cosa direbbe?

Non è una cosa facile da comprendere un Sinodo, in un tempo, il nostro, caratterizzato dall’istantaneità, dalla logica binaria: on-off, amico-nemico. Non è facile e certamente corre il rischio di non essere capito. Allo stesso tempo, è una testimonianza. E, in quanto tale, è stata accolta con sospetto da alcuni e con interesse, con speranza, da altri, tantissimi, credenti e anche non credenti, da tutti coloro che riconoscono nella Chiesa un luogo, forse l’unico luogo, dove le cose che ci accadono recuperano un senso, una prospettiva. Anche se a volte ci vuole tempo per essere capiti.

Viri probati e valorizzazione del ruolo delle donne anche tramite specifiche ministerialità sono stati i due temi più dibattuti in aula sin dall’inizio dei lavori: si può, e come, evitare il rischio della polarizzazione mediatica su questi e su altri argomenti?

Si può e si dovrebbe. Sui viri probati, sui ministeri non ordinati, sul ruolo dei laici e delle donne i padri sinodali hanno condiviso preghiere, esperienze, proposte. Tutte finalizzate a capire come essere una Chiesa profetica, samaritana, animata dallo Spirito Santo. Parlare di polarizzazione è quanto meno riduttivo. I temi dibattuti sono stati molti. E, oltre a queste due questioni, ne sono state discusse molte altre: la crisi ecologica, i limiti dello sviluppo, i temi del dialogo interreligioso e interculturale… Penso che l’unico modo di evitare una polarizzazione mediatica sia quello di accettare la complessità. Non è questione di sì e no a soluzioni bell’e pronte. Il Sinodo sta discutendo di un territorio grande quanto l’Europa che ha la metà degli abitanti dell’Italia. Con lingue e culture ancestrali diverse. Sta discutendo di come salvare l’Amazzonia e il Pianeta tutto da modelli di sviluppo insostenibili. Sta discutendo di come essere Chiesa in Amazzonia. E di cosa l’Amazzonia può insegnare a noi. Ci sono cose che forse solo chi vive lì può capire. E ci sono cose che possiamo e dobbiamo capire anche vivendo qui.

“Tutto è connesso” è l’idea centrale della Laudato si’. Il Sinodo è riuscito a far passare l’idea che la grave crisi ambientale in atto riguarda tutti e non solo l’Amazzonia?

Certamente è riuscito a porre l’attenzione su questa verità. Certamente è riuscito a dire con forza che la Chiesa si fa carico della questione ambientale. Così come si è fatta carico dopo la rivoluzione industriale della questione sociale. Come ha scritto in apertura del Sinodo l’Osservatore Romano, “se la Chiesa restasse muta, dei suoi silenzi un giorno potrebbe essere chiamata a rendere conto, non al tribunale dei media ma a quello della sua coscienza. E su questo il Sinodo non solo non è stato muto, ma ha ribadito quel che già San Giovanni Paolo II aveva detto: ‘I cristiani avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede’”.

Il Sinodo non è un Parlamento. Non ha potere decisionale. Eppure le aspettative sono alte. I comunicatori resteranno delusi?

Io non credo. Ma non credo nemmeno che la questione possa essere posta così. In termini di gradimento o sgradimento. Entusiasmo o delusione. Come fosse un sondaggio. O un voto in Parlamento, appunto. O un derby delle attese. Non solo non è questo il significato di un Sinodo, ma non è questa la storia della Chiesa. Non sono questi i criteri predicati da Gesù Cristo. Il Sinodo è la Chiesa in cammino. Un cammino faticoso. In salita. Non un’arrampicata. Proprio domenica scorsa nell’omelia il Papa ci ha invitato a domandarci: “La mia strada è in salita o in ‘arrampicamento’?”.