Dalla Chiesa
Incontro europeo di Taizé, Frère Alois: “Lavoriamo per una mondializzazione dal volto umano”
Fa tappa a Breslavia, in Polonia, il “pellegrinaggio della fiducia sulla terra” che la comunità di Taizé promuove tutti gli anni dal 28 dicembre al 1° gennaio. Quindicimila sono i giovani che hanno accolto l’invito a trascorrere il capodanno in modo alternativo, impegnati in un programma che alterna preghiere, canti e silenzio, meditazioni sulle pagine del Vangelo, laboratori tematici. Dopo i polacchi, sono gli ucraini il gruppo più numeroso. Ma tra i partecipanti ci sono anche giovani che arrivano da tutto il mondo, alcuni dal Libano e dal Giappone.
È stato scelto quest’anno come tema: “Sempre in cammino, mai sradicati”. In un messaggio ai partecipanti, il Papa scrive: “Possiate scoprire insieme quanto il radicamento nella fede vi chiama e vi prepara ad andare verso gli altri e a rispondere alle nuove sfide delle nostre società, in particolare i pericoli che pesano sulla nostra casa comune”. E facendo riferimento a quanto scritto ai giovani nell’Esortazione apostolica post sinodale Christus vivit, spiega: “Le radici non sono ancore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di radicamento che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide”. Hanno inviato messaggio di auguri e sostegno alla iniziativa anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, l’arcivescovo anglicano di York e primate di Inghilterra, John Sentamu, il segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, reverendo Olav Fykse-Tveit, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e la neopresidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Segno che i leader religiosi e politici guardano con speranza all’iniziativa.
Come sempre, anche in Polonia, i ragazzi saranno accolti in famiglia. “Questa splendida ospitalità – commenta frère Alois, il priore della comunità di Taizé che ha preso l’eredità del fondatore frère Roger – è un grande messaggio di fiducia, perché le persone che aprono le loro porte non sanno in anticipo chi saranno i giovani, o anche da quale Paese verranno, e potrebbero anche non parlare la loro lingua. Questi segni di fiducia sono fondamentali per costruire la comunità umana, in un momento in cui molte persone hanno paura degli stranieri”.
Perché in Polonia?
Esiste una lunga amicizia tra la Polonia e la nostra comunità di Taizé, che risale a molto tempo fa, al tempo in cui monsignor Karol Wojtyła, il futuro santo papa Giovanni Paolo II, venne due volte a Taizé, come arcivescovo di Cracovia. Più tardi, nel 1973, monsignor Wojtyła aveva accolto frère Roger nella sua casa. Era il tempo in cui frère Roger era stato invitato più volte a pronunciare una meditazione al pellegrinaggio che riuniva ogni anno 200mila minatori della Slesia a Piekary, non lontano da Cracovia. Successivamente, si sono tenuti in Polonia diversi incontri europei a Breslavia, Varsavia e Poznan. Esattamente 30 anni fa, eravamo nella stessa città di Breslavia. C’era un grande entusiasmo allora, il muro di Berlino era appena caduto, un vento di libertà soffiava in tutta Europa. Oggi il contesto è diverso. Le divisioni tendono a stabilizzarsi, le generazioni più giovani stanno vivendo con più preoccupazione il futuro. È ancora più importante offrire ai giovani europei l’opportunità di incontrarsi e ascoltarsi al di là delle frontiere.
Quale parola volete dire oggi ai giovani?
Il titolo che abbiamo dato alle cinque “Proposte per il 2020”, che è anche il tema scelto per questo incontro europeo, è: “Sempre in cammino, mai sradicati”. Questa frase fu usata per descrivere la vita di una donna polacca, sant’Urszula Ledochowska. Perché l’abbiamo scelta? La fede in Cristo ci rende pellegrini, ci pone in cammino dentro noi stessi e verso gli altri, ci rende attenti a coloro che incontriamo. Il Vangelo non è compatibile con il “ciascuno per sé”. Pensiamo, ad esempio, ai migranti: come vivere un’accoglienza che rispetti la loro dignità? Certo, i grandi movimenti migratori stanno sconvolgendo le nostre società, ma vediamo anche l’opportunità che ci offrono. Pensiamo alle grandi emergenze ecologiche e climatiche. Ci chiedono una nuova flessibilità, una conversione dei nostri modi di vivere. Per affrontare coraggiosamente le sfide che ci turbano, abbiamo bisogno di un solido sostegno. Ci chiedono di essere saldamente radicati nella fede. Ecco perché attraverso il nostro tema, vogliamo proporre ai giovani di approfondire queste due realtà che a prima vista sembrano contraddittorie.
Cosa vorrebbe che rimanesse nei ragazzi dopo questa esperienza?
La bontà di Dio. Vorremmo che i giovani, e anche coloro che li accoglieranno, scoprano nei loro cuori che Dio è amore, che Cristo è venuto a rivelarci la sua compassione senza limiti e che tutti loro sono portatori dello Spirito Santo e costituiscono insieme Il popolo di Dio. In fondo, questo incontro non ha altro scopo.
Frère Alois, cosa la preoccupa di più oggi? E quale il suo augurio per il 2020? Per la Chiesa, il papa Francesco, l’umanità?
La Chiesa sta attraversando un momento difficile: è come la barca degli apostoli che fronteggia la tempesta. Ma attraverso questa prova, possiamo anche crescere in umiltà e semplicità. Ciò che spero per il futuro è che la Chiesa contribuisca a costruire una mondializzazione dal volto umano. A tante domande si può rispondere solo se le soluzioni che si cercano, scaturiscono dalla collaborazione tra popoli. A questo proposito, abbiamo ricevuto un forte incoraggiamento dai messaggi che ci sono arrivati dai responsabili delle Chiese e leader politici per l’incontro di Breslavia.